Caso Riace. Gip conferma: per Mimmo Lucano resta il divieto di dimora
Mimmo Lucano dovrà restare ancora lontano dal suo paese, quella Riace divenuta negli anni un simbolo per il sistema dell’accoglienza dei migranti stranieri: simbolo che, però, dal 16 ottobre scorso ha iniziato a vacillare dopo l’indagine avviata dalla Procura di Locri (LEGGI) che ha portato all’arresto dello stesso ormai ex sindaco, che è stato sospeso dalla carica (LEGGI).
Il Giudice per le indagini preliminari di Catanzaro ha difatti confermato a carico di Lucano il divieto di dimora (al momento risiede a Caulonia Marina) e l'obbligo di firma per Lemlem Tesfahun, la donna etiope, indagata anche lei, e considerata la compagna dello stesso Lucano.
L’ex primo cittadino riacese era finito ai domiciliari il 2 ottobre scorso nell’ambito dell’operazione Xenia, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di fraudolento affidamento diretto del servizio di raccolta dei rifiuti (LEGGI).
Secondo gli inquirenti, Lucano, insieme alla compagna, avrebbe anche architettato degli espedienti per aggirare le norme nazionali e far ottenere l’ingresso in Italia di extracomunitari: un “raggiro”, come dei presunti matrimoni combinati, che sempre in base alla tesi degli investigatori sarebbe stato attuato con “estrema naturalezza” per trasgredire a norme civili, amministrative e penali.
Accuse per le quali l’ex sindaco di Riace si è difeso strenuamente davanti al Gip (LEGGI), sostenendo sempre di non aver nulla da nascondere, di aver “celebrato uno solo” dei matrimoni e di “non averlo combinato”; così come sulla questione dell’appalto dei rifiuti, invece, di “aver voluto fare luce sul ciclo dei rifiuti” a suo dire controllato da “una mafia”, cosa che avrebbe voluto così evitare.
Il 16 ottobre, poi, il Tribunale del riesame gli aveva revocato i domiciliari ritenendo non vi fossero a suo carico le esigenze cautelari (LEGGI).
Il 23 dicembre scorso la Procura di Locri ha chiuso le indagini contestandogli anche il reato di associazione per delinquere (LEGGI).
Secondo gli inquirenti avrebbe infatti orientato l’esercizio della funzione pubblica degli uffici del Ministero dell’Interno della Prefettura di Reggio Calabria - incaricati della gestione dell’accoglienza dei rifugiati nell’ambito dei progetti Sprar, Cas ed Msna - “verso il soddisfacimento degli indebiti e illeciti interessi patrimoniali delle associazioni e cooperative che gestivano i progetti”.
I magistrati lo ritengono “il capo promotore” della presunta “associazione per delinquere” definendo le linee operative delle coop “controllando l’associazione Città Futura e portando avanti i rapporti con le Istituzioni”.