Omicidio Vinci: rinvio a giudizio per tutti gli indagati

Reggio Calabria Cronaca

Tutti rinviati a giudizio i cinque indagati per l omicidio del biologo 42enne Matteo Vinci e del ferimento del padre Francesco, avvenuto a Limbadi lo scorso 9 aprile.(LEGGI)

Il gup distrettuale di Catanzaro ha accolto quindi in toto la richiesta avanzata dal pm antimafia Andrea Mancuso.

Nel processo sono coinvolti Domenico Di Grillo 72 anni di Limbadi, la moglie Rosaria Mancuso, 64 anni di Limbadi, il genero Vito Barbara 29 anni, le figlie, Lucia e Rosina Di Grillo, rispettivamente 30 e 39 anni.

Nei loro confronti la Dda contesta – a vario titolo – i reati di omicidio tentato e consumato con l’aggravante del metodo mafioso, la detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo e, ancora, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina.

Il processo partirà quindi davanti alla Corte d’assise di Catanzaro il prossimo 17 settembre. Ammessa all’abbreviato Rosina Di Grillo.

Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso sono ritenuti, in concorso morale e materiale tra loro e con altri soggetti allo stato non identificati, gli ideatori e promotori dell’attentato dinamitardo che lo scorso 9 aprile è costato la vita a Matteo Vinci e il ferimento del padre Francesco.

L’obiettivo – secondo quanto emergerebbe dall’inchiesta – era quello di costringere i coniugi Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla a cedere alle loro pretese estorsive.

Per i carabinieri gli indagati sarebbero i mandanti e, forse, anche gli esecutori. Avrebbero “collocato o concordato che altri collocassero la radio-bomba al di sotto dell’autovettura Ford Fiesta di proprietà di Francesco Vinci condotta nell’occasione dal figlio Matteo facendola (ovvero concordando e disponendo che altri la facessero) successivamente esplodere”.

Vito Barbara, Domenico Di Grillo, Lucia e Rosina Di Grillo, Rosaria e Salvatore Mancuso (deceduto) sarebbero poi “gli autori di una serie di azioni esecutive che miravano allo stesso disegno criminoso ovvero costringere la famiglia Vinci a cedere il pezzo di terreno di loro proprietà in contrada Macrea a Limbadi”.