Autobomba Limbadi. Dda chiude le indagini, 5 gli indagati: contestata la premeditazione
Sull’autobomba esplosa a Limbadi il 9 aprile dello scorso anno, che costò la vita al biologo Matteo Vinci e ferì in modo gravissimo il padre della vittima, Francesco (LEGGI), la Dda di Catanzaro dichiara chiuse le indagini.
Gli indagati restano cinque: Domenico Di Grillo, Rosaria Mancuso, Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosina Di Grillo.
A tutti e cinque il Pm della Dda Andrea Mancuso ha contestato, a vario titolo, i reati di omicidio tentato e consumato, con l’aggravante del metodo mafioso, detenzione illegittima dell’ordigno esplosivo, minaccia, ricettazione, detenzione abusiva di armi, lesioni personali, estorsione e rapina.
Il sostituto Mancuso, che ha condotto le indagini, aggiunge anche l’aggravante di aver commesso il delitto con premeditazione, per “futili motivi ed abietti”.
In particolare, Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso sono ritenuti, in concorso morale e materiale tra loro e con altri soggetti allo stato non identificati, gli ideatori e promotori dell’attentato dinamitardo.
Secondo quanto emerge dall’inchiesta, l’obiettivo sarebbe stato quello di costringere i coniugi Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla a cedere alle loro pretese estorsive.
Per i carabinieri sarebbero i mandanti e, forse, anche gli esecutori. La tesi è che abbiano “collocato o concordato che altri la collocassero la radio-bomba al di sotto dell’autovettura Ford Fiesta di proprietà di Francesco Vinci condotta nell’occasione dal figlio Matteo facendola (ovvero concordando e disponendo che altri la facessero) successivamente esplodere”.
I cinque indagati sarebbero poi gli autori di una serie di azioni esecutive che miravano allo stesso obiettivo, ovvero costringere la famiglia Vinci a cedere il pezzo di terreno di loro proprietà in contrada Macrea, a Limbadi.
Per l’accusa sarebbero stati Lucia e Rosina Di Grillo, insieme a Rosaria e Salvatore Mancuso ad aggredire Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla il 29 marzo del 2014.
Domenico Di Grillo, Rosaria e Salvatore Mancuso avrebbero perseguito l’obiettivo di ottenere quel terreno “con violenza e minaccia consistite nelle suddette condotte, nonché nella eloquente evocazione della propria caratura criminale e dei collegamenti tra loro stessi e la cosca Mancuso (in particolare con i fratelli di Rosaria Mancuso e Salvatore Mancuso, ossia Giuseppe Mancuso classe ’49 alias Mbrogghia, Pantaleone Mancuso, alias Ingegnere, Diego Mancuso, alias Mazzola, Francesco Mancuso alias Tabacco) quindi, con modalità tali da manifestare energica carica intimidatoria – anche alla luce della sottoposizione del territorio in cui detta richiesta veniva formulata all’influsso della notoria consorteria mafiosa dei Mancuso”.
Di Grillo e Rosaria e Salvatore Mancuso avrebbero poi tentato di costringere i coniugi Vinci a cedergli il fondo “senza alcuna altra giustificazione che non fosse quella dell’ubicazione dell’immobile all’interno di una zona sottoposta al controllo della famiglia Mancuso”.
Vito Barbara, Di Grillo e Rosaria Mancuso sono anche ritenuti gli autori di una seconda aggressione avvenuta nell’ottobre del 2017 mentre Francesco Vinci si trovava da solo in campagna.
In base alla ricostruzione dei carabinieri, sarebbe stato colpito al capo e al corpo con un’ascia, brandita da Domenico Di Grillo, ed un forcone, brandito da Vito Barbara, mentre Rosaria Mancuso li avrebbe incitati gridando “Ammazzatelo! Ammazzatelo!”