Libera fortezza: la rete dell’usura e dell’estorsione sotto il controllo dei Longo-Versace

Reggio Calabria Cronaca

Tutto parte da controllo dei militari di Polistena nei confronti di un imprenditore locale, che aveva confidato ai militari le difficoltà economiche che stava attraversando e di trovarsi sotto il giogo di esponenti della criminalità organizzata locale.

L’uomo, in pratica, sarebbe stato costretto a ricorrere a svariati prestiti, risultati poi usurari e attuati con modalità estorsive.

Le investigazioni si sono poi allargate, permettendo di individuare altre vittime e di appurare l’esistenza di una vera e propria rete di usurai che faceva capo alla cosca Longo-Versace.

Da qui si è arrivati oggi a far scattare l’operazione “Libera Fortezza(QUI) con cui i carabinieri e le fiamme gialle hanno eseguito 22 un’ordinanze di custodia cautelare ritenendo che i coinvolti abbiano parte o favorito la ‘ndrangheta, in particolare la cosca della piana di Gioia Tauro.

Contestualmente è stato eseguito anche decreto di sequestro preventivo con il quale sono stati messi i sigilli a beni per 5 milioni di euro.

Associazione mafiosa, usura, estorsione, riciclaggio, esercizio attività finanziaria abusiva, detenzione illegali di armi: tutti aggravati dalla finalità e dal metodo mafioso. Questi i reati contestati a tutti e a vario titolo.

GLI INDAGATI

I provvedimenti personali sono stati eseguiti nei confronti di: Nicola Auddino, 47enne di Polistena; Claudio Circosta, 34enne di Polistena; Francesco Circosta, 40enne di Polistena; Domenico Giardino, 54enne di Polistena; Salvatore Iannizzi, 51enne di Cinquefrondi, Serafino Iannizzi, 45enne di Cinquefrondi; Agostino Alessandro Iaropoli, 45enne di Polistena già ai domiciliari; Fabio Ierace, 52enne di Polistena; Diego Lamanna, 40enne di Polistena; Francesco Longo, 52enne di Polistena.

Ed ancora, Rocco Longo, 27enne di Polistena già ai domiciliari; Cesare Longordo, 54enne di Polistena; Vincenzo Politanò, 49enne di Polistena; Maria Pronestì, 44enne di Galatro; Antonio Raco, 37enne di Polistena; Vincenzo Rao, 45enne di Polistena; Francesco Domenico Sposato, 49enne di Taurianova; Giovanni Sposato, 52enne di Taurianova; Mariaconcetta Tibullo, 37enne di Polistena già ai domiciliari; Andrea Valerioti, 38enne di Polistena; Luigi Versace, 38enne di Cinquefrondi; Antonio Zerbi, 61enne di Polistena.

Inoltre è stato disposto il sequestro, fino all’ammontare di circa 144 mila euro - corrispondente all’importo degli interessi usurari corrisposti dalle vittime - su altre disponibilità finanziarie, beni mobili e immobili intestati agli indagati.

L’operazione, denominata Libera fortezza, è stata avviata nel 2014 dai carabinieri di Taurianova e solo in un secondo momento è stata integrata ad altre indagini dei militari con il supporto del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza reggina, acclarando dei presunti e ripetuti reati, anche molto recenti.

LA PRONTA REPERIBILITÀ DEL CREDITO

Come accennavamo tutto ruota intorno alla cosca dei Longo-Versace. La tesi è che quest’ultima, attraverso i suoi affiliati e con intimidazioni, avrebbe mirato ad ottenere dei vantaggi patrimoniali erogando, appunto, dei prestiti usurari ad imprenditori e commercianti in difficoltà economiche e imponendo le pretese estorsive.

Obiettivo del clan sarebbe stato anche quello di creare un sistema di “pronta reperibilità del credito”, basato sulla concessione abusiva dei finanziamenti al di fuori del circuito bancario autorizzato, acquisendo direttamente o indirettamente la gestione o il controllo di attività economiche nei più svariati settori, per poi riciclare il denaro attraverso il reimpiego di assegni “in bianco” pretesi dalle vittime e con la compiacenza di altri imprenditori.

Un sistema che - secondo gli inquirenti - avrebbe quindi consentito anche di mantenere un controllo egemonico sul territorio, sottoponendo le vittime ad una condizione di dipendenza economica.

La cosca, che aveva anche disponibilità di armi, sarebbe stata poi in grado di intervenire nelle controversie altrui. Tra queste, numerosi sarebbero gli episodi in cui i presunti sodali si si sarebbero rivolti ai vertici dell’organizzazione per risolvere in proprio favore minacce ricevute, danni, truffe subite, ma anche per la raccolta della legna, o per risolvere il problema della concorrenza di altri esercizi commerciali.

La Direzione Distrettuale Antimafia ha quindi delegato al Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza, con particolare riferimento agli episodi di usura accertati nel corso delle indagini, degli appositi approfondimenti sulla natura dei prestiti personali pattuiti.

GLI INTERESSI AL 1700 PER CENTO

I militari hanno quindi riscontrato un superamento, in tutti i casi accertati, del tasso di “soglia” previsto per legge - ovvero del limite oltre il quale, nella restituzione di un prestito, si commette il reato di usura - calcolando in circa 144 mila euro gli interessi corrisposti indebitamente dai malcapitati anche a seguito di estorsioni aggravate dal metodo mafioso.

Le indagini avrebbero permesso di fare luce su uno di questi episodi. A fronte di un prestito personale originario di 15 mila euro, un imprenditore, dopo minacce e pressioni degli indagati, avrebbe restituito in circa due anni ben 55 mila euro a titolo di soli interessi, corrisposti ad un tasso usurario superiore del 200% a quello soglia, restando comunque debitore per la restituzione del capitale.

Gli inquirenti, ancora, ritengono di aver anche compreso come agisse il gruppo. In pratica, dopo aver individuato la vittima bisognosa e dopo aver concesso il prestito in denaro, otteneva la promessa di restituzione di un importo maggiorato di un oneroso e illecito tasso d’interesse variabile, che è arrivato fino addirittura al 1.756,40% su base annua, corrispondente al 27,56% su base mensile.

Al momento della restituzione in contanti, i sodali si sarebbero fatti consegnare degli assegni “in bianco”, di un importo comprensivo del capitale prestato e dell’interesse del solo primo mese, a titolo di garanzia in caso di inadempimento.

In un secondo momento la vittima sarebbe stata obbligata al pagamento di interessi mensili aggiuntivi fino a quando non fosse riuscita a restituire in un’unica soluzione il capitale sommato all’interesse.

In caso di mancato pagamento gli usurati sarebbero stati però minacciati o avrebbero subito azioni intimidatorie, facendo leva sull’appartenenza all’ndrangheta degli interessati alla restituzione.

E non solo, perché si sarebbe accertato come alcune vittime assumessero pure il ruolo di tramite per far arrivare le minacce o, a loro volta, tentassero di saldare il proprio debito facendo sempre da tramite per elargire altri prestiti usurai.

Si sarebbe quindi creato un sistema di riciclaggio, con il coinvolgimento di più persone, finalizzato alla sostituzione di una grande quantità di assegni di provenienza illecita e con denaro contante, che continuava ad alimentare il sistema illecito di finanziamento.

LA STRUTTURA DELL'ORGANIZZAZIONE

L’operazione avrebbe portato inoltre a documentare i rispettivi ruoli ricoperti all’interno dell’organizzazione. Luigi Versace, Domenico Giardino e Diego Lamanna, sono ritenuti i capi ed organizzatori della cosca.

Avrebbero deciso, in pratica, le modalità di gestione degli affari, quindi individuato le azioni da mettere in campo e poi valutato la solvibilità dei debitori e la composizione dei conflitti tra gli affiliati o con terzi appartenenti a cosche differenti.

Vincenzo Rao sarebbe stato invece l’organizzatore e gestore dei rapporti economici della consorteria con i numerosi debitori, destinatari di continue erogazioni del credito, e “contabile” delle pendenze creditorie non ancora soddisfatte e riferibili al sodalizio.

Claudio Circosta, Francesco Circosta, Fabio Ierace, Francesco Longo, Cesare Longordo, Vincenzo Politanò, Maria Pronestì, Antonio Raco, Mariaconcetta Tibullo, Andrea Valerioti e Antonio Zerbi sono considerati invece gli esecutori degli ordini e delle direttive dei capi, con funzioni operative manifestatesi nel metter in atto le azioni intimidatorie, volte a mantenere il controllo del territorio polistenese. Ma si sarebbero anche occupati di procacciare vittime, nella riscossione dei proventi, e nella cooperazione con gli altri associati.

Giovanni e Francesco Domenico Sposato, sono ritenuti esponenti dell’omonima cosca di Taurianova, pur non considerati affiliati ai Longo-Versace, avrebbero fornito un determinante contributo alle finalità del gruppo polistenese, facendo desistere, con le minacce, due imprenditori di Taurianova ad avviare un bar-pasticceria a Polistena, concorrente ad una simile attività commerciale di Mariaconcetta Tibullo (una vicenda, questa, ricostruita grazie ad accertamenti paralleli svolti dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria).

I VINCOLI DI PARENTELA

Tra i soggetti indagati emergono figure legate da vincoli di parentela con gli storici capi cosca di Polistena: per gli inquirenti sarebbe questa una conferma della solidità del principio familistico della ‘ndrangheta.

In particolare, Luigi Versace è figlio di Antonio (cl. 1952), temuto esponente di vertice della criminalità organizzata polistenese nel periodo a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, ucciso a sempre Polistena il 7 settembre del 1991 insieme al fratello Michele, durante una plateale esecuzione mafiosa. Inoltre è figlio di Maria Violetta Longo, figlia del patriarca Luigi Longo (cl. 1918).

Diego Lamanna è invece il genero di Domenico Longo (cl. 1948), a sua volta figlio del defunto boss Luigi (cl. 1918); Domenico Giardino, ancora, è il genero di Francesca Longo (cl. 46), figlia di Luigi (cl. 1918).

E poi, Rocco Longo (cl.1993) è figlio di Francesco (cl. 1968) detto “Ciccio Mazzetta”, anch’egli tra gli arrestati di oggi e considerato esponente di assoluto rango nel contesto della criminalità organizzata locale, figlio del defunto boss Rocco (cl. 31) e fratello di Vincenzo (cl. 63), anch’egli noto esponente della cosca processato e condannato già nel processo “Crimine” (QUI).

Francesco Circosta, ancora, è il genero del defunto Antonio Versace (cl.52), mentre Vincenzo Rao, “figura centrale nell’indagine”, è legato da vincoli parentali acquisiti con Giovanni Longo (cl. 66), esponente apicale dell’omonima cosca, già condannato in via definitiva nell’operazione “Scacco Matto(QUI).

IL SEQUESTRO DEI BENI

I magistrati hanno quindi delegato al Gico della Guardia di Finanza un’indagine a carattere patrimoniale finalizzata all’individuazione del patrimonio accumulato dagli indagati.

I Finanzieri, ricostruendo le transazioni economiche degli indagati negli ultimi 25 anni, hanno scoperto una sproporzione tra il reddito dichiarato e i beni.

Per questo hanno eseguito la misura del sequestro su un patrimonio di valore stimato in oltre 5 milioni e costituito da 45 immobili, beni mobili, disponibilità finanziarie e quote societarie, e dagli interi compendi aziendali di nove imprese: una individuale con sede a Polistena e che si occupa di vendita e commercio di autoveicoli, motoveicoli, barche.

Un’altra società con sede sempre a Polistena, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di mobili e arredi per uffici e negozi, prodotti estetici di manicure e parrucchieri; una ancora che si occupa di vendita e noleggio di autovetture senza conducente, trattori, motocicli, roulotte e barche.

E poi, una impresa individuale nel commercio al dettaglio di prodotti per agricoltura e giardinaggio; un’altra individuale attiva nell’esercizio di vicinato di prodotti alimentari (pane, pasta, salumi, formaggi, frutta e verdura).

Sigilli anche a una società di lavori generali e di costruzione edifici e lavori di ingegneria civile; l’impresa individuale “Sposato Giovanni”, a Taurianova, che si occupa di costruzione di edifici residenziali e non residenziali; una a Taurianova esercente l’attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali; una impresa individuale anch’essa di costruzione e opere di ingegneria civile.


L’operazione è stata condotta dai Carabinieri di Reggio Calabria, con il supporto dei Reparti territorialmente competenti, dello Squadrone Carabinieri Eliportato “Cacciatori “e dell’8° Nucleo Elicotteri di Vibo Valentia, in collaborazione con i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, e sotto il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri.

I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Reggio Calabria, Caterina Catalano, su richiesta del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e dai Sostituti Procuratori Giulia Pantano e Sabrina Fornaro.