Processo Rinascita-Scott, pentito Spatuzza: “Per stragi sinergia Cosa Nostra-‘ndrangheta”
Ci sarebbe stata una “sinergia stragista tra Cosa Nostra e la 'ndrangheta” nei tre attentati compiuti in Calabria tra dicembre e gennaio 1993-1994 ai danni di altrettante pattuglie dei carabinieri ed uno dei quali costò la vita a due militari.
“Anche a Napoli c'era un progetto stragista perché era stato mandato dell’esplosivo”: sono le parole di Gaspare Spatuzza, l'ex boss del quartiere Brancaccio di Palermo, sentito nel processo Rinascita Scott in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme contro le cosche del vibonese.
Nel corso della deposizione il pentito ha affermato che “sia i calabresi che i napoletani erano coinvolti mani, piedi e testa nelle stragi”.
Del fallito attentato contro i carabinieri in servizio di ordine pubblico allo stadio Olimpico di Roma, aggiunge, “eravamo a Roma e aspettavamo l’input definitivo di Giuseppe Graviano per agire e Graviano in quell'occasione disse che dovevamo sbrigarci a fare l’attentato perché i calabresi si erano mossi”.
Attentato fallito a causa di un guasto nel telecomando che doveva azionare l’autobomba pronta a esplodere al passaggio del pulmino dei carabinieri.
Spatuzza ha poi risposto a una domanda posta dal pm della Dda catanzarese, Annamaria Frustaci, e ha riferito di un episodio avvenuto nel carcere di Tolmezzo.
Qui, come racconta, il collaboratore avrebbe riferito a Filippo Graviano delle lamentele dei calabresi e dei napoletani riguardo al carcere duro. E la risposta di Graviano sarebbe stata: “è bene che questi signori parlino con i loro padri per capire quello che è successo”.
IL SILENZIO DI ALBANESE
È stata caratterizzata da “un’ostilità di cui non si capisce il perché” la testimonianza di Gaetano Albanese. Almeno è quanto ha affermato il pubblico ministero Andrea Buzzelli nel corso dell’udienza del maxi processo.
Albanese ha più volte dichiarato di non voler rispondere alle domande e di non ricordare nulla del passato. Ha poi sostenuto di aver fatto degli omicidi ma di non ricordare di chi.
“In questi anni ho cercato di dimenticare sempre tutto”, ha detto, mentre sul fratello, Antonio Albanese, ha affermato che ha “potuto sbagliare, ma sta pagando più di quanto doveva”.
Lo stesso Albanese, che si è detto “assolutamente” consapevole delle conseguenze per le mancate risposte, ha voluto informare i giudici di non voler rispondere anche a domande più “banali”, come quella relativa al rito di affiliazione.
“Forse all’epoca lo sapevo, ora non mi ricordo più niente”. “Cioè – ha replicato il pm – lei mi sta dicendo che non si ricorda cos’è un rito di affiliazione?”. “Eh sono 30 anni, uno quando esce (dall’associazione mafiosa, ndr) non se lo ricorda”.
Si tratta del secondo collaboratore chiamato dalla Procura che ha deciso di non rispondere. Lo scorso 3 febbraio era stato Salvatore Schiavone, 45 anni di Nicotera, ad avvalersi della facoltà di non rispondere (QUI).
(ultimo aggiornamento 19:30)