Così i rifiuti finivano interrati. Scacco al traffico illecito tra ‘ndrangheta e colletti bianchi

Reggio Calabria Cronaca

Uno stratagemma tanto semplice quanto funzionale. Intestare delle aziende a dei prestanome in modo tale da poter contare su società per così dire “pulite” e dunque operare in un settore strategico, ed anche redditizio, qual è quello dei rifiuti speciali.

Un metodo per avere “le carte in regola” e, dunque, intrattenere rapporti contrattuali con le maggiori aziende siderurgiche italiane, così come contrattare l’importazione e l’esportazione di rifiuti da e per Stati esteri, oltre che aspirare all’iscrizione nelle cosiddette white list negli elenchi istituiti presso la Prefettura.

Questa l’ipotesi della Dda di Reggio Calabria che stamani fa fatto scattare l’operazione “Mala Pigna(QUI) con la quale ha indagato in tutto 29 persone, nove delle quali finite in carcere, altre dieci ai domiciliari e il resto sottoposte ad altre misure.

Tra quelle finite tra le sbarre compare anche il noto avvocato ed ex parlamentare Giancarlo Pittelli, già coinvolto nella maxi inchiesta Rinascita-Scott (QUI), oltre a membri della famiglia Delfino, che da decenni opera nel settore.

I NOMI DEGLI INDAGATI

Le porte dei penitenziari si sono dunque spalancate per nove persone: Rocco Delfino; Giovanni Delfino cl. ’57; Giovanni Delfino cl. ’93; Salvatore Delfino; Domenico Cangemi; Aurelio Messineo; Francesco Benito Palaia; Giancarlo Pittelli e Roberto Forgione.

Ai domiciliari sono invece finiti in 10: Giuseppe Antonio Nucara; Alessio Alberto Gangemi; Deborah Anna Cannizzaro; Concetta Zappone; Domenico Giordano; Giulio Calabretta; Salvatore Trovato Mazza; Orlando Galatà; Pier Paolo Cavallari; e Vincenzo Muratore.

L’obbligo di dimora nel comune di residenza e di firma alla polizia giudiziaria, poi, per altre 9 persone: Cosimo Bevilacqua; Domenico Amato; Mariapaola Palermo; Pierino Amato; Francesca Arceri; Girolamo Bruzzese; Giuseppe Petracca; Riccardo Marino; Matteo Rocco Delfino.

Infine applicato anche un obbligo giornaliero di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti di un solo indagato, Fabio Taverniti.

LE ORIGINI DELL’INCHIESTA

Tutto è partito da un sopralluogo, eseguito nel 2017, nella sede della Ecoservizi Srl, azienda dei Delfino - nella zona industriale di Gioia Tauro - che si occupa di trattamento di rifiuti speciali di natura metallica.

Gli investigatori ritengono che la società, nonostante avesse sospesa l’autorizzazione al trattamento dei rifiuti e fosse cancellata dall’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali, fosse il “fulcro” di una presunta attività organizzata per il traffico di rifiuti speciali (di natura metallica) non solo nella Piana ma anche a livello nazionale e internazionale.

Al centro del “meccanismo” - sempre secondo gli inquirenti - vi sarebbe Rocco Delfino, per anni socio e Procuratore Speciale della società, con il contributo materiale e morale di altri.

La tesi è che tramite degli artifizi per aggirare la normativa antimafia, abbia messo in campo il tutto tramite la gestione di imprese intestate fittiziamente a terzi ma in realtà sempre sotto la diretta influenza e dominio della famiglia Delfino.

Tra queste la Mc Metalli e la Cm Servicemetalli. L’ipotesi è, difatti, che gli amministratori siano dei prestanome dei presunti traffici illeciti dei Delfino, “con una completa ed incondizionata comunione di affari ed interessi”, sostengono gli inquirenti.

Nel programma, definito come “mafioso”, della famiglia sarebbe rientrato anche il dominio assoluto della ditta Delfino Srl, società confiscata definitivamente dal 2007 dopo un procedimento di prevenzione attivato nei confronti della degli stessi Delfino alla fine degli anni novanta, sull’assunto che Rocco Delfino e i fratelli gravitassero nella galassia della famiglia ‘ndranghetistica dei Molè (QUI).

LA SOCIETÀ INFILTRATA

Dalle indagini sarebbe emerso che l’azienda confiscata, ancora attiva sul mercato, altro non fosse che una “schermatura per le attività illecite dei fratelli, con il concorso attivo degli amministratori designati dall’Agenzia Nazionale dei beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata, ma anche di professionisti - tra avvocati, consulenti, commercialisti ed ingegneri ambientali - che avrebbero prestato la loro opera e sotto la direzione dei Delfino.

Secondo gli inquirenti, dunque, Rocco Delfino avrebbe infiltrato la società “con professionisti spregiudicati a lui fedeli”, esercitando la sua influenzaconvocando i coadiutori al suo cospetto e dettando loro i comportamenti da opporre alle richieste dell’ANBSC”, ribadiscono gli investigatori spiegando che il tutto sarebbe servito “per mantenere il completo controllo mafioso della società in confisca, in un clima di intimidazione e prevaricazione”.

I RIFIUTI INTERRATI NEI CAMPI

Un altro elemento definito “allarmante” e uscito fuori nel corso delle indagini è quello del presunto smaltimento illecito di grossi quantitativi di rifiuti speciali, anche pericolosi, che sarebbe avvenuto con l’interramento degli stessi e oggi oggetto di investigazione e di accertamenti tecnici eseguiti dai Consulenti nominati dalla Procura.

Gli inquirenti sostengono che autocarri aziendali sarebbero partiti dalla sede della società con il cassone carico di rifiuti speciali, spesso riconducibili a “Car Fluff, un rifiuto di scarto proveniente dal processo di demolizione delle autovetture.

I mezzi sarebbero poi arrivati in dei terreni agricoli posti a pochi metri di distanza, e qui sarebbero stati interrati grossi quantitativi di rifiuti, anche a profondità significative.

Gli accertamenti eseguiti hanno scoperto l’interramento anche di altri materiali, come fanghi provenienti presumibilmente dall’industria meccanica pesante e siderurgica.

I terreni interessati sono risultati contaminati gravemente da sostanze altamente nocive, alcune di esse rilevate sino a valori pari al 6 mila per cento del limite previsto, con il concreto ed attuale pericolo che le sostanze inquinanti possano infiltrarsi ancor più nel sottosuolo, intaccando la falda acquifera sottostante.

LE ESTORSIONI SULLE GRU

Dalle indagini, poi, emergerebbero delle vicende estorsive a danno di imprese impegnate nell’appalto per la demolizione delle gru di banchina ormai obsolete presso il Porto di Gioia Tauro.

La vicenda vedrebbe coinvolti in prima linea alcuni degli arrestati di oggi, nello specifico Rocco Delfino e Domenico Cangemi, considerati esponenti della cosca locale dei Piromalli (QUI), e Francesco B. Palaia, ritenuto invece far parte della cosca Bellocco di Rosarno (QUI).

Quanto proprio ai presunti legami di ‘ndrangheta, le investigazioni, tra l’altro, ricostruirebbero i rapporti tra Rocco Delfino, Aurelio Messineo - considerati fedelissimo del boss Giuseppe Piromalli, alias “Facciazza” - e l’Avvocato Giancarlo Pittelli, legale di fiducia dei Piromalli.

LA POSIZIONE DI PITTELLI

L’ipotesi è che Pittelli abbia veicolato informazioni dall’interno all’esterno del carcere tra i capi della cosca al 41 bis, ossia Giuseppe Piromalli (76 anni, detto “Facciazza”) ed il figlio Antonio (49), e Rocco Delfino, come soggetto di “estrema fiducia” per i Piromalli, “in quanto elemento di vertice della stessa cosca”.

Inoltre, l’ex parlamentare si sarebbe attivato a favore di Rocco Delfino nelle vicende giudiziarie riguardanti la revisione del procedimento di prevenzione nei confronti della società confiscata, la Delfino Srl, pendente dinanzi alla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Catanzaro, “con l’intento di ‘influire’ sulle determinazioni del Presidente del Collegio al fine di ottenere la revoca del sequestro di prevenzione, nonché con una serie di ulteriori condotte che esulavano dal mandato difensivo”, affermano gli investigatori.

Nel quadro sopra rappresentato, anche Aurelio Messineo viene ritenuto il trait d'union tra il nucleo familiare del boss Piromalli e Rocco Delfino, “come necessario veicolatore dell’esigenze espresse dalla famiglia” mafiosa.

Difatti, ogni contatto sarebbe stato intermediato da Messineo oltre che da Pittelli, che avrebbero garantito che l’impegno profuso da Rocco a favore della cosca fosse rappresentato a chi di dovere, ossia ai componenti del nucleo familiare del Giuseppe Piromalli.

Per gli investigatori è in quest’ottica che Rocco Delfino avrebbe assunto un ruolo di tutore degli interessi della cosca, “attento a curarne le esigenze familiari e le vicende giudiziarie, pronto a sostenere economicamente, in nome e per conto della cosca, anche le spese di difesa”.

I SEQUESTRI

Nell’ambito dell’inchiesta i militari hanno posto sotto sequestro, inoltre, l’intero capitale sociale e patrimonio aziendale della Ecoservizi Srl di Gioia Tauro; la Ditta Individuale Rd di Rocco Delfino, con sede legale a Catanzaro; la Cm Servicemetalli Srl di Ravenna; la Ditta individuale Giovanni Delfino (cl. 93), con sede a Gioia Tauro e la Ditta individuale Giovanni Delfino (cl. 57).

Disposto, poi, il sequestro preventivo della somma complessiva di poco più di 1,6 milioni di euro, di cui oltre 909 mila nei confronti delle società Rd di Rocco Delfino, della Ecoservizi, Mc Metalli Srl, Cm Servicemetalli, e della somma di circa 700 mila euro nei confronti di Rocco Delfino, Giuseppe Antonio Nucara e Alessio Alberto Gangemi.

L’OPERAZIONE

L’operazione è stata condotta dai Carabinieri del Gruppo Forestale di Reggio Calabria, coadiuvati dai Forestali afferenti a vari Reparti in Calabria, Sicilia, Lombardia ed Emilia Romagna, e dai militari del Comando Provinciale di Reggio Calabria, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori Calabria, dell’8° Nucleo Elicotteri di stanza a Vibo Valentia e dell’Aliquota di Primo Intervento (API) di Reggio Calabria.

L’ordinanza è stata emessa dal Gip del Tribunale del capoluogo dello Stretto che contesta a vario titolo i reati di associazione mafiosa, disastro ambientale, traffico illecito di rifiuti, intestazione fittizia di beni, estorsione, ricettazione, peculato, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, violazione dei sigilli e danneggiamento aggravato.

Il provvedimento, adottato nella fase delle indagini preliminari e salve le ulteriori determinazioni dell’Autorità giurisdizionale di merito, è stato eseguito nelle province di Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza, Ravenna, Brescia e Monza-Brianza.

Le indagini, condotte dai militari del NIPAAF, il Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale, Agroalimentare e Forestale di Reggio Calabria, sono state dirette dal Procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri, e coordinate dall’Aggiunto Calogero Gaetano Paci e dai Sostituti Gianluca Gelso (poi trasferito ad altro Ufficio), Paola D’ambrosio e Giorgio Panucci.