Mala pigna, il procuratore Bombardieri: “Professionisti asserviti alla cosca”
È ritenuto “uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento avendo instaurato con la ‘ndrangheta uno stabile rapporto sinallagmatico” l’avvocato Giancarlo Pittelli, raggiunto da un’altra ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione Mala pigna, che ha indagato in tutto 29 persone, nove delle quali finite in carcere, altre dieci ai domiciliari e il resto sottoposte ad altre misure (LEGGI).
Un rapporto, come hanno affermato i pm, che sarebbe stato “caratterizzato dalla perdurante e reciproca disponibilità”, disponibilità che si traduceva nelle “ambasciate” in carcere per i capi della cosca Piromalli veicolando “informazioni all'interno e all'esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli detenuti in regime carcerario ai sensi dell'articolo 41 bis”.
Come emerso dall’inchiesta, Giuseppe Piromalli detto “Facciazza” e il figlio Antonio Piromalli reggente della cosca si sarebbero avvalsi del rapporto con l’ex senatore.
Pittelli, in soldoni, e per gli inquirenti, avrebbe garantito “la sua generale disponibilità nei confronti del sodalizio a risolvere i più svariati problemi degli associati, sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni e della pubblica amministrazione". Perché Pittelli aveva “illimitate possibilità di accesso a notizie riservate e a trattamenti di favore”, come hanno affermato in conferenza stampa.
Un ruolo, quello di “postino”, che Pittelli avrebbe avuto anche “nella perizia balistica relativa all’omicidio del giudice Antonino Scopelliti”, il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ucciso il 9 agosto del 1991 in un agguato a Campo Calabro.
In questo caso l’ex parlamentare avrebbe sottoposto all’attenzione di un uomo, ritenuto dagli inquirenti “soggetto di estrema fiducia” dei Piromalli “una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli detto ‘Facciazza’ indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell’omicidio del giudice Scopelliti facendosi portavoce delle esigenze della cosca”.
Avrebbe cioè attivato “un sistema al fine di eludere la tracciabilità del denaro necessario alle strategie difensive, proveniente da profitti criminali”.
Ma il vero uomo chiave dell’inchiesta sarebbe Rocco Delfino, che per il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, avrebbe promosso l’associazione volta al traffico illecito di rifiuti mediante la gestione di aziende intestate fittiziamente a soggetti in teoria insospettabili ma riconducibili alla diretta influenza e al dominio della sua famiglia.
Una capacità definita “sconcertante” dal momento che, come affermato da Gaetano Paci, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, sarebbe stato capace di “dominare la scena di diversi mondi che si collegano tra loro”.
Ma nell’operazione emerge anche un mondo di professionisti e un comportamento che per Bombardieri è “sconsolante”, dato che questi sono considerati “totalmente asserviti” pur nell’evidenza di “attività illecite”.
In questo modo la famiglia Delfino sarebbe stata dunque in grado di controllare anche l’azienda confiscata definitivamente nel 2007 e il traffico e smaltimento di rifiuti.
Una situazione definita “allarmante”, dato che nell’area vicina all’azienda confiscata erano presenti “valori di idrocarburi, zinco e piombo” superiori anche di sette volte al valore imposto dalla norma, come confermato da Bombardieri.