Cultura: il paesologo Franco Arminio a Cosenza
Franco Arminio, l’inventore della “paesologia”, sarà a Cosenza (lunedì 18 aprile alle 18) presso il centro Auser-Cgil del rione Spirito Santo per parlare con un altro scrittore, il calabrese Mauro Minervino, e il pubblico dei lettori del suo ultimo lavoro “Oratorio bizantino” (Ediesse), libro che raccoglie i suoi scritti più liricamente civili. La sera dopo (martedì 19 aprile), alle 21.30, ospite del cineforum Falso Movimento, introdotto da Maria Rosaria Donato, Arminio proporrà alcuni dei suoi documentari nel Teatro comunale di Rovito e poi ne discuterà insieme al sociologo dell’Unical Ercole Giap Parini.
Diviso in gruppi tematici (comizi morali, l’esperienza politica, il paesologo in campagna elettorale, le battaglie civili per l’ospedale di Bisaccia e contro la discarica del Formicoso) “Oratorio Bizantino” censisce l’impegno pluriennale di un autore che usa ancora la parola nel tentativo di salvare un pezzo di mondo. “C’è sempre altro da fare quando dobbiamo fare qualcosa per gli altri”, dice in un passo emblematico. Anche quando sembra parlare solo di Bisaccia o del Sud, la sua visione è in realtà globale, occidentale. Nell’intreccio tra cultura contadina, modernità e villaggio tecnologico appare la visione di un capitalismo che “a furia di espandersi è diventato piccolissimo”.
Arminio, avellinese di Bisaccia, o meglio irpino d’oriente, come lui si definisce, nasce poeta raffinato, poi scrittore e documentarista, nonché animatore di battaglie civili. La “paesologia” emerse come disciplina ai tempi del libro “Viaggio nel cratere”, che lo impose otto anni fa all’attenzione di critica e pubblico. “Il paesologo guarda e cammina. Non studia un paese, lo annusa, lo ascolta, ma non si fida di quello che dice” spiega Arminio. Tutti i suoi scritti, da “Vento forte tra Lacedonia e Candela” (Laterza), libro pluripremiato, a “Nevica e ho le prove. Cronache dal paese della cicuta” (Laterza), finanche a quelli più curiosi, come “Cartoline dai morti” (Nottetempo), sono l’osservatorio privilegiato su un mondo poeticamente problematico. Si sposta, Arminio, nel breve raggio di pochi chilometri dal suo luogo d’origine, in un giorno, a volte in un mattino o in un pomeriggio, e raggiunge la piazza, il cimitero, i bar, il municipio dei paesi d’intorno, da sezionare quasi come un anatomista che scruta la viscere per trovarvi il male e additarlo agli allievi/lettori. Scrive in una lingua sospesa, a volte ironica, o lirica, e getta uno sguardo apparentemente leggero, in realtà dolente e pensieroso, su una parte d’Italia. Leggere dell’Irpinia, o di altri paesi delle regioni vicine, è penetrare in uno stato d’animo sofferenziale, è andare al fondo della comune condizione sociale e culturale dei tanti Sud possibili intorno a noi, che prima di essere luoghi fisici di stupefacente bellezza e di ordinaria o orribile bruttezza, lo diventano nella mente di chi li abita. Luoghi che assurgono a simbolo universale di una condizione precaria della vita.