Palmi: sequestrati beni per tre milioni di euro
Nell’ambito dell’attività di aggressione ai patrimoni illecitamente acquisiti da parte di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta della locale Procura della Repubblica, con decreto emesso il 16.10.2012, ha disposto il sequestro dell’immobile sito nel Comune di Palmi, in via Concordato, nella disponibilità della famiglia Gallico e di proprietà di Lucia Giuseppina Morgante 86 anni, vedova di Antonino Gallico 84 anni. Il provvedimento, eseguito da personale dell’Ufficio Misure di Prevenzione della Divisione Anticrimine della Questura e del Commissariato di Palmi, è relativo ad uno stabile costituito da un fabbricato in cemento armato con scantinato e quattro piani fuori terra, all’interno del quale sono stati ricavati cinque appartamenti rifiniti ed abitati e quattro appartamenti, allo stato rustici, immesso in un più vasto appezzamento di terreno circondato da alte mura di cinta e protetta da un massiccio cancello blindato.
Tale struttura, comunemente intesa “villa” rappresenta il simbolo del potere mafioso esercitato dalla famiglia Gallico nel territorio di Palmi. L’odierna richiesta di sequestro ha preso le mosse da un’attività investigativa della Procura della Repubblica - D.D.A. di Reggio Calabria da cui è scaturito il procedimento penale n. 4508/06 R. G. N. R./D. D. A. e n. 2815/07 R. G. G. I. P./D. D. A., poi sfociato nelle due ordinanze di custodia cautelare n. 107/09 O. C. C. e n. 1/10 O. C. C., del maggio 2010, meglio noto come Operazione “COSA MIA”, a carico, tra gli altri, dei principali esponenti delle cosca Gallico, eseguita dalla locale Squadra Mobile e dal Commissariato di P. S. di Palmi. Si ricorda che tale operazione, traeva spunto dagli esiti di una minuziosa indagine riguardante le 'ndrine dei Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano gravitanti a Palmi e quelle contrapposte dei Bruzzise-Parrello operanti nella frazione di Barritteri di Seminara, protagoniste di una faida tra il 2004 ed il 2008. Sono accusati di estorsione e altri delitti contro il patrimonio, associazione mafiosa e di infiltrazione negli appalti legati all'ammodernamento del V macrolotto dell'autostrada A3 (tra gli svincoli di Gioia Tauro e Scilla), con la pretesa del pagamento di una tangente del 3% dell’importo fissato nel capitolato d’appalto alle ditte appaltatrici (c.d. “tassa ambientale”) e il rifornimento di calcestruzzo da aziende vicine agli ambienti mafiosi. I recenti accertamenti degli organi inquirenti hanno fatto piena luce sulle modalità di acquisizione del palazzo dei Gallico, oggetto dell’odierno sequestro, e sul terreno sul quale è stato edificato. In particolare, nel corso di un colloquio, oggetto di intercettazione, avvenuto nell’ottobre 2007 all’interno della Casa Circondariale di Secondigliano (NA), intercorso tra Giuseppe Gallico, già condannato definitivamente all’ergastolo nel 1994, la moglie Maria Carmela Surace, la figlia Italia Antonella Gallico e il genero Vincenzo Barone, il detenuto raccontava ai propri familiari come, negli anni 1979 – 80, mediante l’uso della violenza e della prevaricazione tipica mafiosa, si era impadronito prima del terreno e successivamente della palazzina in cui la famiglia Gallico tutt’oggi risulta risiedere.
Lo stesso riferiva che, in origine il terreno era di proprietà della principessa Pignatelli, ma di fatto amministrato dall’Avvocato Luigi La Capria, il quale aveva ricevuto una proposta di acquisto da parte di Rossini Saverio, che aveva scatenato le ire della famiglia Gallico, evidentemente interessata ad impossessarsi del terreno senza sborsare alcuna somma di denaro. Sempre in base al suo racconto, Gallico Giuseppe aveva preso in mano la situazione e, con la complicità dei suoi fratelli Domenico ed Alfonso, aveva organizzato un attentato nei confronti del Rossini e della di lui sorella Teresa. Tale attentato, non mortale, aveva indotto l’Avvocato La Capria, già amministratore dei terreni oggetto di contesa, a redigere un atto con il quale trasferiva a beneficio dei Gallico, la proprietà dell’immobile in questione, senza che questi ultimi sborsassero realmente alcun compenso. Le affermazioni di piena ed inconfutabile valenza auto accusatoria da parte di Giuseppe Gallico, proseguivano e riguardavano anche la costruzione dell’immobile oggetto di sequestro. In merito a tale vicenda, Gallico Giuseppe dichiarava anche di avere imposto all’Avvocato Masseo Marco di Palmi, il pagamento di alcune somme di denaro, chiaramente a titolo estorsivo. Lo stesso aveva costretto il cognato del legale, identificato in Lirosi Alfonso, a non accedere più ad una villa di sua proprietà giacente su di un terreno limitrofo a quello dei Gallico e sulla quale la stessa famiglia mafiosa aveva puntato l’attenzione con il chiaro scopo di appropriarsene in maniera illecita. Solo dopo un anno e mezzo, mediante l’intercessione del predetto Avvocato Masseo, Gallico Giuseppe “aveva concesso” al malcapitato “l’autorizzazione” a rientrare nella sua proprietà a patto che Lirosi, per poter esercitare il diritto di godimento del proprio bene, si accollasse in toto le spese per la costruzione del manufatto “de quo”. Alla valenza delle acquisizioni probatorie inerenti il procedimento “Cosa Mia” ed alle conversazioni ambientali registrate all’interno della Casa Circondariale di Secondigliano (NA), si aggiungono le attività di indagine patrimoniale che hanno ricostruito ed evidenziato la sproporzione tra i redditi percepiti da Gallico Giuseppe, dai genitori e dai fratelli ed i costi di costruzione affrontati per la realizzazione dell’immobile, risalente agli anni ’80. Si ricordi, tra l’altro, che tale sperequazione era stata già motivo di precedente confisca da parte del Tribunale di Rc- sez. M.P. nel 1999, successivamente revocata dalla Corte d’Appello di Rc, nel 2003. L’attività odierna di esecuzione rappresenta l’ennesimo brillante risultato, realizzato nel delicatissimo settore dei sequestri patrimoniali, tenuto conto della valenza simbolica dell’imponente immobile oggetto del provvedimento del Tribunale, emblema del potere esercitato dal clan Gallico sull’intera comunità di Palmi e nel territorio della Piana di Gioia Tauro, base logistica per gli affari della famiglia che negli anni scorsi ha rappresentato il rifugio per lo stesso Giuseppe Gallico, per il padre Antonino ed il fratello Domenico, durante il periodo della loro latitanza. Il valore del patrimonio sequestrato ammonta a circa tre milioni di euro.