Operazione Metropolis: non reggono le accuse della Procura, Fitzsimons rimesso in libertà
È stato rimesso in libertà Henry James Fitzsimons, l'uomo che la Procura antimafia di Reggio Calabria ritiene essere il cassiere dell'IRA messosi al servizio delle cosche di Africo.
Il Tribunale del Riesame, Leonardo Presidente, ha infatti accolto l'istanza di scarcerazione presentata dal suo legale, Aldo Labate, in merito all'insussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Il Tdl è stato chiamato a giudicare nuovamente la posizione dell'imputato, accusato di impiego di denaro di provenienza illecita aggravato dalle modalità mafiose, poiché nel dicembre dello scorso anno la Corte di Cassazione aveva annullato con rinvio la decisione di un altro collegio del Tribunale della Libertà di Reggio Calabria che invece, aveva confermato l'ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva emesso la custodia cautelare nei confronti di Henry James Fitzsimons.
Per il cittadino di origini irlandesi oggi si aprono le porte del carcere di Rebibbia in cui era recluso dall'estate dello scorso anno dopo la sua estradizione dal Senegal in seguito proprio alla richiesta di arresto nell'ambito dell'operazione antimafia “Metropolis”. Henry James Fitzsimons comunque dovrà affrontare, seppur da libero, il processo fissato per il 10 giugno, poiché nei giorni scorsi è stato rinviato a giudizio dal gup Carlo Indellicati, su richiesta del pm antimafia Paolo Sirleo. Vittoria dell'avvocato Labate anche per la posizione di Antonio Velardo, attualmente latitante, per cui un altro collegio del Riesame, Foti presidente, ha accolto il ricorso proprio in seguito alla decisione della Suprema Corte. Anche per Velardo non ci sarebbero grandi indizi di colpevolezza. L'operazione “Metropolis”, messa a segno dai magistrati Nicola Gratteri e Paolo Sirleo e coordinata dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza reggina, aveva fatto finire in carcere, il 5 marzo del 2013, 20 persone e messo sotto sequestro 7 villaggi turistici, 1343 unità immobiliari, 12 società, per un valore pari a 450 milioni di euro oggi.
L’uomo è ritenuto dagli inquirenti un personaggio vicino al gruppo separatista dell'I.r.a. al punto da essere condannato a otto anni di reclusione nel Regno Unito per terrorismo. Per la Procura antimafia quindi, egli aveva effettuato investimenti in Italia nel settore immobiliare turistico-residenziale insieme a esponenti della criminalità organizzata calabrese e specificatamente con le cosche degli Aquino e dei Morabito, egemoni nel territorio di Africo. Proprio nell'appartenenza al gruppo terroristico è da individuarsi la provenienza dell'enorme flusso di denaro che sarebbe stato veicolato verso attività di riciclaggio. Nell'operazione “Metropolis” venne scoperto infatti, come moltissime strutture turistiche fossero in mano alla 'ndrangheta. Ed in particolare alcuni noti villaggi residenziali ubicati fra Catanzaro e Lido e la provincia reggina.
Sarebbe stato l'imprenditore campano Antonio Velardo a mettere in contatto l’ex terrorista con gli 'ndranghetisti del mandamento jonico. Insieme sarebbero entrati in quella che – a detta degli inquirenti – si configura come una vera e propria “joint venture” internazionale tra uomini delle 'ndrine e imprenditori spagnoli, che avrebbe dato vita a un articolato intreccio di società, italiane e straniere, finalizzato alla realizzazione di complessi immobiliari destinati al settore turistico-residenziale. Nel ricostruire la filiera societaria italo-spagnola, infatti, le Fiamme Gialle riusciranno a documentare come gli investimenti milionari effettuati sulla costa jonica, a cominciare dal lussuoso complesso turistico "Gioiello del mare" di Brancaleone, sarebbero stati posti in essere proprio per volontà della 'ndrangheta, anche attraverso funzionari comunali infedeli, come il tecnico del Comune di Bruzzano, Francesco Sculli, il padre dell’ex under 21 Giuseppe nonché genero del boss Peppe alias "Tiradritto".
DIRITTO DI RETTIFICA | 02/01/2017 | 18:36 | Velardo assolto per non aver commesso il fatto
L’ingegnere Antonio Velardo, a mezzo dei suoi legali, avvocati Antonio, Nicola e Marco Scotti Galletta, chi ha chiesto di pubblicare, ai sensi per gli effetti dell’art. 8 della Legge 47 del 1948 “Disposizioni sulla stampa”, il presente testo di rettifica in relazione all’articolo sopra riportato e riportante, a suo dire, notizie e dati personali non corrispondenti in alcun modo alla realtà dei fatti e/o all’inchiesta giudiziaria che lo ha visto coinvolto, denominata “Metropolis”, e comunque non corrispondenti all’esito finale del processo: il che, insieme all’accostamento, nel contesto dell’articolo, dell’Ing. Velardo a persone ritenute o processualmente riconosciute colpevoli di reato, avrebbe comportato una grave lesione per il suo onore e per la sua reputazione.
In particolare, l’ing. Antonio Velardo ci ha chiesto di dare notizia di quanto segue: due provvedimenti giudiziali, la sentenza n. 5547/2014 della Corte di Cassazione e l’ordinanza 8-9.4.2014, in sede di giudizio di rinvio, del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, vista l’inesistenza di “gravi indizi” a carico dell’Ing. Antonio Velardo, hanno del tutto smentito, con approfondita motivazione, l’ipotesi accusatoria dei Pm ed hanno conseguenzialmente annullato la misura cautelare. Risulta quindi erroneo e contraddittorio aver definito l’Ing. Velardo, nel testo dell’articolo pubblicato, come “latitante”.
Il processo si è poi concluso con la sentenza n. 79 del 29 gennaio 2016 del Tribunale di Locri che, su espressa richiesta della pubblica accusa, ha assolto da tutte le imputazioni l’Ing. Velardo, “per non aver commesso il fatto”: i giudici, con motivazione ammontante a quasi 400 pagine, ha infatti completamente e definitivamente escluso il coinvolgimento dell’ing. Velardo in affari con i clan e/o in fattispecie di riciclaggio, “autoriciclaggio” o di “impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita” (art. 648-ter Codice Penale), di cui al capo d’’imputazione.
Nei confronti della sentenza non è stato proposto appello e la stessa è passata in cosa giudicata.