Le fogne d’estate che imbrattano la Calabria e il sogno di una Sila in mano agli emiliani
Quel che accade a Paola e a Crotone è, senza dubbio, il colmo dell’ignavia amministrativa di questa regione. Ignavia nella peggiore delle attribuzioni, e tale da far impallidire anche la narrativa Dantesca (“Ed elli a me: ‘Questo misero modo tengon l'anime triste di coloro che visser sanza infamia e sanza lodo’. Mischiate sono a quel cattivo coro delli angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé foro”).
Due piccole città, accomunate dai tanti problemi e da un’unica risorsa: coste sterminate e mare, un tempo, limpido e cristallino. Un tempo, sì! Ormai bell’e andato ed in cui, con un minimo d’iniziativa e di morale “pubblica”, si sarebbe potuto consentire ad entrambe - non a caso simboliche per posizione geografica: una a ovest, sul Tirreno, l’altra ad est sullo Jonio - di assurgere a punti di riferimento dello sviluppo turistico (ed economico) della Calabria.
Paola e Crotone esempi per attualità contemporanea, ma non soli ed ultimi nel triste primato di “inettitudine”: da nord a sud, da est ad ovest, lungo la linea jonica quanto quella tirrenica, tanti sono i comuni marittimi che, chi più chi meno, hanno registrato elementi di inquinamento o d’abbandono indegni per una regione civile che del turismo fa, a questo punto a sproposito, la sua bandiera.
A poche ore di distanza dal Ferragosto, nell’una e nell’altra cittadina, centinaia di persone sono dovute addirittura scendere in piazza, o meglio in spiaggia, per protestare contro l'incuria (e l’ignavia) di chi, e con poco, avrebbe dovuto evitare l’ennesima débâcle d’immagine, dura da recuperare: un versante ionico “imbrattato” di liquami fognari, quello tirrenico da acque reflue scaricate senza alcun trattamento.
E mentre a Paola la magistratura almeno s’è mossa, a Crotone tutto tace come se una “fogna a cielo aperto” si risolvesse in un banale divieto di balneazione, le numerose denunce di infezioni fossero frutto di una fervida ipocondria e le responsabilità vadano cercate, come al solito, a casa di qualcun altro (“Io non c'ero, e se c'ero dormivo. Non vedo, non sento e non parlo; così non vedendo, non sentendo e non parlando campo cent'anni”, dicevano i Biddai).
Ci si domanda allora a cosa serva spendere decine di migliaia di euro in esposizioni permanenti sulla via dell’Expo milanese o in campagne promozionali; sbandierare supercazzole “fanta-logistiche” di alta velocità ferrata (quando ancora, ogni giorno, un morto cade sulla “via delle Statali” abbandonate); sperperare altrettanti milioni in “improbabili” aeroporti “di quartiere” per portar su e giù per l’Italia sempre più emigranti e sempre meno fantomatici turisti che, però, illuminati dal web, hanno imparato a conoscere prima i difetti e dopo i pregi delle località vacanziere, scegliendo così oculatamente dove andare a spendere i loro già striminziti quattrini.
Per concludere, e passando dal mare alla montagna, mi risuona la frase buttata lì da un amico toscano, proprio ieri accompagnato a visitare la Sila cosentina: “l’avessero avuta (la Sila, ndr.) gli emiliani c’avrebbero fatto i milioni!”.
V.R.