La ‘ndrangheta che si espande nel Lazio, sequestrati i beni a presunto boss

Reggio Calabria Cronaca

Ventisette immobili tra Roma, Albano Laziale, Genzano di Roma, Ariccia e Lampedusa, delle elevate disponibilità finanziarie, così come azioni e obbligazioni societarie. Il tutto per un valore complessivo stimato in oltre 5 milioni di euro.


È scattata stamani un sequestro di beni, eseguito dalle fiamme gialle capitoline su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, nei confronti di Domenico Scarfone, ritenuto come un esponente di vertice della cosca di ‘ndrangheta Mazzagatti-Polimeni-Bonarrigo, in particolare la locale di Oppido Mamertina (nel reggino). Il presunto boss, recentemente, è stato condannato dalla Corte d’Assise di Palmi ed è detenuto dal novembre del 2013.

Le indagini patrimoniali effettuate dai militari di Velletri sono partite dal provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Dda dello Stretto nell’ambito dell’operazione Erinni, condotta nel 2013 dai Carabinieri di Reggio Calabria, per reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, omicidi, intestazioni fittizie di beni e investimento di denaro di provenienza illecita nel mercato immobiliare romano.

La cosca, cui il sessantenne calabrese apparterrebbe almeno dal 1989, avrebbe investito ed espanso i propri interessi in altre regioni, soprattutto nel Lazio, secondo gli inquirenti “proprio grazie alla dinamicità imprenditoriale” di Scarfone e al fatto che lo stesso si fosse stabilito nel comune di Genzano di Roma da qualche decennio.

Ed è in particolare ai Castelli Romani, alle porte della Capitale, che quest’ultimo avrebbe riciclato, prevalentemente, le ingenti disponibilità che sarebbero il frutto di diverse attività criminali, provvedendo, grazie alla collaborazione di avvocati e soggetti gravitanti nel modo delle aste giudiziarie e delle procedure fallimentari, a trarre vantaggi dai pubblici incanti assicurandosi beni che poi, grazie ad una fitta rete di persone “compiacenti”, fossero intestati a terzi per nascondere la reale disponibilità.

Sempre secondo gli investigatori, di particolare rilievo nella complessiva gestione del patrimonio, che si ritiene accumulato illecitamente, sarebbe la ex moglie di Scarfone che, nonostante la separazione, avrebbe comunque continuato, come ammesso dallo stesso, a «tenere la cassa», tanto che anche la consorte, nel 2013, è stata raggiunta anch’essa da un provvedimento di custodia cautelare in carcere.

Eseguiti degli approfondimenti economico-patrimoniali nei confronti di numerose persone fisiche e giuridiche, gli inquirenti si si dicono certi di aver ricostruito l’intero patrimonio che sarebbe nella disponibilità del presunto boss, sia direttamente che indirettamente; cosca che fotograferebbe non soltanto la ricchezza posseduta attualmente ma evidenzierebbe anche le relative fonti di produzione accertando, di conseguenza, una evidente sproporzione tra la consistenza dei beni e i redditi dichiarati ufficialmente al fisco.

La minuziosa ricostruzione dei finanzieri avrebbe permesso, dunque, di ricondurre un ingente patrimonio che, apparentemente, sarebbe nella titolarità di altri soggetti (familiari e terzi) ma in realtà nella disponibilità di Scarfone.

Particolarmente utili alle indagini sono risultate le evidenze acquisite dall’approfondimento delle indagini tecniche svolte nel procedimento penale a carico dell’uomo, incrociate poi con le molteplici informazioni disponibili alle banche dati in uso alla Guardia di Finanza.