Inchiesta sugli istituti di vigilanza. Corruzione, poliziotto condannato a tre anni

Vibo Valentia Cronaca

Tre anni e dieci mesi di reclusione: questa la condanna a carico di Stefano Mercatante, poliziotto accusato di corruzione e all’epoca dei fatti in servizio alla Divisione Amministrativa della Questura di Vibo Valentia.

È arrivata ieri sera la sentenza del Tribunale collegiale del capoluogo calabrese per i quattro indagati in una inchiesta della Dda di Catanzaro, che risale alla fine del 2013, su delle presunte pressioni” e minacce subite dal titolare di un istituto di vigilanza della zona, Pietro Di Costa (LEGGI).

I magistrati hanno inflitto inoltre 8 anni a Michele Purita, di Cessaniti, e che secondo gli inquirenti avrebbe pagato Mercatante per omettere dei controlli sul suo istituto di vigilanza. Allora il poliziotto era addetto alla sorveglianza degli istituti privati.

In concorso con Purita, altri 8 anni sono ricaduti su Carmelo Barba (vibonese) e sei su Paolo Potenzoni, in questo caso per usura ai danni di Di Costa, quest’ultimo parte offesa nel processo e testimone di giustizia.

L’INCHIESTA risale, come dicevamo, al novembre del 2013. Allora la squadra mobile vibonese eseguì cinque misure cautelari tra cui i domiciliari a carico di Mercatante, accusato di corruzione e concussione.

Grazie alle dichiarazioni di Di Costa gli inquirenti ritennero di aver scoperto delle attività usuraie subite proprio da quest’ultimo in circa dieci anni, ovvero dal 2001 ala 2011, da parte di uno dei condannati, Potenzoni, ritenuto contiguo alla criminalità organizzata del vibonese.

Quanto alle contestazioni mosse al sovrintendente della polizia, secondo gli investigatori, nel 2008, avrebbe costretto Di Costa, titolare dell’Istituto di Vigilanza Sud Security, a ritirare una querela nei confronti del responsabile di un altro Istituto, minacciandolo di relazionare delle informazioni negative e così favorire quest’ultimo.

Quanto al reato di corruzione, invece, a Mercatante si addebita, nel 2011, di aver ottenuto da Purita del denaro per non fargli fare dei controlli all’attività e per l’esito favorevole degli accertamenti demandati alla Squadra amministrativa a cui era addetto.