Estorsione ad istituto di vigilanza, quattro condanne in Appello. Anche un poliziotto
La Corte d’Appello di Catanzaro ha condannato quattro imputati che erano rimasti coinvolti in un’inchiesta antimafia su delle presunte pressioni ed ingerenze sugli istituti di vigilanza del Vibonese da parte della criminalità organizzata locale.
L’inchiesta scattò nel novembre del 2013 quando la mobile di Catanzaro e quella del capoluogo napitino eseguirono cinque misure cautelari a carico di altrettante persone (QUI), tra cui anche un poliziotto, accusate allora ed a vario titolo, dei reati di usura, corruzione in concorso, intestazione fraudolenta di beni e violenza privata aggravata dalla metodologia mafiosa.
I giudici di secondo grado, dunque, hanno inflitto oggi 3 anni e 10 mesi a Stefano Mercadante, 61enne poliziotto in servizio alla Questura di Vibo, confermando in pratica la stessa pena inflittagli in primo grado.
Cinque gli anni, invece, per Michele Purita, di Cessaniti, in primo grado erano stati 8; 4 anni e 8.500,00 euro di multa per Paolo Potenzoni, di San Costantino Calabro, in primo grado erano stati 6; infine, 5 anni per Carmelo Barba, di Vibo Valentia, in primo grado erano stati 8.
Purita e Barba rispondevano di illecita concorrenza, minacce e tentata estorsione ai danni dell’imprenditore e testimone di giustizia Pietro Di Costa, titolare di un istituto di vigilanza a Tropea che avrebbe operato in concorrenza con l’istituto di Purita e le cui dichiarazioni furono alla base dell’operazione della Mobile del novembre 213. I entrambe i reati erano aggravati dalle modalità mafiose.
L’agente di polizia Stefano Mercadante, che era addetto alla sorveglianza sugli istituti di vigilanza privati, secondo l’accusa accusatoria sarebbe pagato nel 2011 da Purita per evitare dei controlli sulla sua azienda.