Le faide si spostano al Nord: progettarono un omicidio, cinque arresti nel bresciano

Reggio Calabria Cronaca

L’idea sarebbe stata quella di commettere un omicidio; un assassinio che sarebbe maturato in un contesto di criminalità organizzata per agevolare una famiglia ‘ndranghetistica.

Questa l’ipotesi della Procura Distrettuale di Brescia che stamani ha ordinato il fermo di cinque persone, finite in carcere, contestandogli, in concorso, di avere detenuto e portato in un luogo pubblico delle pistole e delle bombe a mano, proprio con la finalità di realizzare un progetto omicidiario.

Contestualmente, sono state eseguite 27 perquisizioni di persone fisiche ed aziende coinvolte nell’ambito delle stesse investigazioni.

L’indagine – denominata “Tabacco selvatico” e coordinata dalla Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo con altre operazioni che sono state svolte in altre regioni d’Italia (QUI) - è stata scattata nel maggio dell’anno scorso, dopo il ritrovamento di 42 tonnellate di tabacco, provenienti dall’estero, e del valore di circa 8 milioni di euro.

In quell’occasione vennero la Guardia di Finanza di Brescia e la Compagnia Carabinieri di Verolanuova scoprì e sequestrò anche dei macchinari per la lavorazione del tabacco e il confezionamento di pacchetti di sigarette.

Le successive investigazioni, curate dal Gico e dal Nucleo Investigativo dell’Arma del capoluogo lombardo, portarono, alle fine di luglio, ad un arresto per usura.

Pochi giorni dopo, il 4 agosto, vennero invece ritrovate una bomba a mano di fabbricazione jugoslava; una pistola rubata, una Glock cal. 9x21; ed un’altra pistola cal. 22LR clandestina e senza matricola.

Il 21 agosto successivo, poi, il Gip di Brescia mandò in carcere due persone accusate di aver acquistato, trasportato e detenuto 57 tonnellate di tabacco lavorato estero di contrabbando, ma anche di aver prodotto sigarette e contraffatto dei marchi; oltre che di aver commesso una evasione fiscale per circa 600 mila euro e, dulcis in fundo, di aver detenuto, armi clandestine e da guerra.

Nell’ambito della stessa ordinanza, il 24 agosto dello stesso anno, in Slovenia e dopo l’emissione di un mandato europeo, venne eseguito l’arresto di una terza persona, a cui furono contestati gli stessi reati degli altri due.

Il 12 settembre del 2020, infine, venne ritrovata un’altra bomba a mano.

L’esito delle indagini, risultate particolarmente complesse anche perché rivolte ad ambienti della criminalità organizzata “impermeabili” alle investigazioni, avrebbe però permesso di raccogliere degli indizi nei confronti dei cinque fermati proprio per quanto riguarda la detenzione e il porto in luogo pubblico di armi (comuni e da guerra), per commettere l’omicidio di cui si ritiene fossero loro, a vario titolo, i mandanti e gli esecutori materiali.

Gli inquirenti si dicono poi convinti di aver identificato il contesto associativo nel quale è stato maturato l’assassinio, che si ritiene sia stato ordito da una famiglia ‘ndranghetistica con base nella provincia di Reggio Calabria.

L’obiettivo era una pregiudicato, di origine calabrese, residente in un’altra provincia del Nord Italia, e in passato legato a quella stessa compagine criminale.

Alcuni dei coinvolti, poi, sono considerati dagli investigatori di “elevata caratura criminale” e inseriti “pienamente e da tempo” nel contesto economico di Brescia.

Gli stessi, mantenendo uno stretto legame con il rilevante contesto associativo di origine, partendo dal bresciano avrebbero dunque pianificato un attentato scaturito da antiche faide.

L’operazione, scattata all’alba nelle province di Brescia, Reggio Calabria e Vibo Valentia, è stata eseguita dai militari dei Comandi Provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza di Brescia, insieme al personale del Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata delle fiamme gialle, e con il supporto dei rispettivi Comandi competenti per territorio.