Terremoto nel crotonese: colpo ai “Papaniciari”, indagati politici e imprenditori eccellenti
L’indagine è durata circa cinque anni: dopo essere stata avviata nel 2018 si è concentrata sulla ricostruzione degli assetti, dei rapporti politico-imprenditoriali e delle dinamiche criminali della locale di Papanice, nel crotonese, al cui vertice si pone la famiglia Megna.
Una attività investigativa che sul fronte ‘ndranghetistico ha contato sulle dichiarazioni rese da vari collaboratori di giustizia, ma anche sull’analisi delle segnalazioni dell’Unità di Informazione Finanziaria della Banca d’Italia e su attività investigative eseguite in Germania.
Si basa su questi presupposti l’inchiesta Glicine (QUI), un vero e proprio terremoto giudiziario abbattutosi sulle consorterie criminali ma che annovera tra le sue decine di indagati anche nomi eccellenti del panorama politico ed imprenditoriale della Calabria (QUI i NOMI)
Gli inquirenti ritengono quindi di aver individuato il vertice della locale di Papanice, nella persona di Domenico Megna, considerato tra l’altro il mandante dell’omicidio di Salvatore Sarcone, che sarebbe stato ucciso per riaffermare la propria supremazia all’indomani della sua scarcerazione.
Si ritiene poi di aver ricostruito anche i diversi interessi illeciti dei presunti esponenti della locale nei settori immobiliare, della ristorazione, del commercio di prodotti ortofrutticoli e di bestiame, dei servizi di vigilanza-security e del gaming attraverso l’imposizione di video-poker alle sale scommesse o la loro gestione tramite prestanomi.
Interessi che avrebbero travalicato i confini della Calabria, interessando le province di Parma, Milano e Verona dove sarebbero stati attivi stabilmente dei sodali e degli imprenditori dell’autotrasporto, della ristorazione e del movimento terra che avrebbero operato per conto della cosca dei Papaniciani.
Secondo gli inquirenti, poi, vi sarebbero state delle cointeressenze, sul fronte estero, con un imprenditore ortofrutticolo austriaco che avrebbe ottenuto dai membri del gruppo la creazione di una rete di produzione per la commercializzazione successiva dei prodotti, approfittando della capacità economica del sodalizio di offrire coltivazioni estese e attrezzature, messe a disposizione sul territorio da parte della cosca, in condizioni di mercato largamente favorevoli all’imprenditore.
Inoltre, si è, sarebbe accertato che gli esponenti del clan, avvalendosi del supporto di hacker tedeschi, siano riusciti a compiere operazioni bancarie e finanziarie fraudolente operando su piattaforme di trading clandestine, e svuotando conti correnti esteri bloccati o creati ad hoc, utilizzando carte di credito estere e alterando il funzionamento del Pos.
IL “FRONTE POLITICO”
Sul fronte politico amministrativo, i carabinieri del Ros hanno poi svolto degli accertamenti che hanno portato ad ipotizzare l’esistenza di un’associazione per delinquere, costituita da amministratori pubblici, imprenditori ed intermediari, alcuni dei quali in ritenuti in rapporti con la cosca dei “papaniciari”, che sarebbero stati in grado di condizionare le scelte degli Enti pubblici crotonesi, tra cui il Comune, la Provincia, l’Atep e l’Asp, per quanto riguarda le nomine di dirigenti, il conferimento di incarichi professionali, di appalti e affidamenti diretti.
Nell’inchiesta è finito, in particolare, il leader del gruppo politico de I Demokratici, Enzo Sculco che, sempre secondo gli inquirenti, e per quanto concerne l’amministrazione Comunale pitagorica, tra le altre, avrebbe ingerito nell’assunzione clientelare di personale nelle società partecipate Crotone Sviluppo e Akrea, condizionato appalti pubblici e procedimenti di affidamento diretto di lavori e di fornitura di servizi.
Nell’ambito dell’amministrazione Provinciale, invece, si sarebbero delineate turbative nel procedimento di affidamento diretto relativi a lavori di manutenzione e messa in sicurezza di strade provinciali e siti di interesse oggetto di riqualificazione ambientale.
Mentre per l’Aterp e Asp, si sarebbero alterati processi decisionali per la nomina di figure apicali in grado di favorire gli interessi del gruppo, così come si sarebbero condizionate le procedure di scelta di immobili da locare, di appalti e affidamenti diretti per la manutenzione di immobili e la fornitura di servizi.
L’INDAGINE SU SCULCO
Il gip parla in particolare di un presunto accordo elettorale in cui il leader de I Demokratici avrebbe appoggiato la formazione del governatore Mario Oliverio alle regionali da tenersi tra il 2019 e 2020, convogliando un “consistente pacchetto di voti da attingere dal proprio bacino elettorale” ed in cambio ottenendo l’appoggio alla candidatura della figlia, Flora, a consigliera regionale. Allo stesso modo, Sebastiano Romeo, consigliere regionale di Reggio Calabria, avrebbe anch’egli sostenuto Oliverio.
Si parte da questo episodio nella lunga Ordinanza cautelare, di quasi quattrocento pagine, in cui si ricostruiscono le accuse mosse dalla Procura, in questo caso quelle contestate a Vincenzo Sculco, personaggio tra i più influenti, se non il più influente, della politica crotonese degli ultimi decenni.
Il leader dei Dk è finito oggi ai domiciliari, mentre la figlia risulta solo indagata, nell’indagine che ha fatto scattare le manette, stamani, ai polsi di oltre una trentina di persone.
Questo episodio, citato dagli inquirenti, sempre secondo le ipotesi accusatorie avrebbe comportato, “al di là dell’apparentamento politico - scrive il magistrato - la commissione di una sequela indeterminata di reati … funzionali ad accrescere il peso specifico elettorale, attraverso incarichi fiduciari, nomine e assunzioni di matrice esclusivamente clientelare, in enti pubblici, nella prospettiva di ottenere il voto, nonché affidando appalti anche a imprese i cui titolai avrebbero assicurato l’appoggio elettorale”.
Secondo gli inquirenti il tutto sarebbe avvenuto grazie alla penetrazione nel Comune di Crotone, che come si ricorderà dal 2016 al 2019 era retto da una Giunta “costruita” e appoggiata dalla formazione politica dello stesso Sculco e poi “caduta” a seguito di una indagine della Procura locale (QUI)
All’interno dell’ente, sospettano dunque gli investigatori, sarebbero stati scelti dirigenti “graditi”, come Giuseppe Germinara, anch’egli oggi indagato, che sarebbe stato designato su indicazione del “capo politico”, alias Enzo Sculco, nonostante vi fosse già una regolare vincitrice di concorso, Antonia Elisabetta Dominijanni.
E poi, l’affidamento di incarichi a soggetti anch’essi graditi; l’individuazione da parte di Sculco di direttori generali, e amministratore della partecipata Crotone Sviluppo (prima Leo Pedace e poi Gianfranco Turino, anch’essi indagati).
Gli inquirenti sostengono ancora vi fossero poi condizionamenti negli appalti pubblici, con affidamenti ad aziende che sarebbero state “indicate” dal leader dei Demokratici; e stessa cosa per gli incarichi a professionisti.
Una presunta “pervasività” che non avrebbe interessato solo il Comune ma che sarebbe avvenuta anche nella Provincia di Crotone e finanche nell’Aterp di Crotone tra presunti incarichi e affidamenti a soggetti anche qui “graditi”.
Un altro ambito in cui Sculco avrebbe fatto la voce grossa, sarebbe stato quello dell’Asp pitagorica. Qui, sempre secondo gli investigatori, di concerto con Oliverio, Devona, e Nicola Adamo, si sarebbe “lavorato” alla rimozione dell’allora direttore generale, Sergio Arena, e da lì alla nomina di un sostituto che avrebbe poi garantito le nomine, a sua volta, di dirigenti che sarebbero stati legati al leader dei Dk.
Ma si sarebbero anche proposti il direttore amministrativo, il direttore dell’Uoc di Igiene e sanità pubblica dell’ospedale, il dirigente selettore del personale da assumere.
GLI AVVISI DI GARANZIA
Come accennato, l’accertamento del filone squisitamente ‘ndranghetistico ha visto l’apporto significativo della Polizia di Stato, in particolare delle Squadre Mobili di Crotone e Catanzaro, il cui personale ha provveduto alla notifica delle informazioni di garanzia nei confronti degli indagati a piede libero.
Parimenti, per il versante politico amministrativo, l’indagine ha beneficiato del contributo altrettanto significativo, a livello investigativo, del Centro operativo di Catanzaro della Direzione investigativa antimafia, che ha notificato gli avvisi di garanzia nei confronti degli esponenti politici e degli amministratori pubblici.
L’INDAGINE SUI VRENNA
Infine si inserisce l’attività del Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Catanzaro, che ha notificato gli avvisi a diversi indagati, a vario titolo, per i reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti, frode nelle pubbliche forniture, altri reati in materia ambientale, turbata libertà del procedimento di scelta del contrante e di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, e per reati in materia elettorale.
Le attività di indagini riguardano la gestione del ciclo di trattamento dei RSU (Rifiuti Solidi Urbani) in Calabria: l’ipotesi è che si siano ottenuti profitti ingiusti con un “sistema” che avrebbe permesso il sostanziale monopolio nella gestione, nello smaltimento e nel trasporto dei rifiuti solidi urbani.
In questo contesto sono indagati anche Giovanni e Raffaele Vrenna, noti imprenditore del settore ambientale e proprietari delle società Ekrò e Sovreco, e le cui ditte avrebbero dunque ottenuto maggiori profitti grazie alle tariffe di conferimento dei rifiuti solidi urbani, che - sostyengono gli investigatori - sarebbero stati però smaltiti in impianti, come la discarica di Columbra, ma anche quella di Celico e di Rossano, che non avrrebbero potuto contenere rifiuti non trattati.
Secondo la Dda, per simulare un’apparente correttezza delle operazioni, i rifiuti sarebbero stati lavorati in impianti TBM riconducili al gruppo così da ottenere una classificazione che ne permettesse lo smaltimento.
Un circolo che avrebbe quindi avvantaggiato gli imprenditori, che avrebbero dunque ottenuto direttamente dalla politica gli appalti per la gestione degli impianti garantendosi così un sostanziale monopolio.
Circostanza quest'ultima che sarebbe stata favorita anche dall'emanazione di apposite leggi regionali che vietavano la costruzione di nuovi impianti, affermando così il controllo del gruppo tra il crotonese e lo jonio cosentino.