Calabria Film Festival. De Bernardi viaggia tra generazioni, culture e geografie
Un viaggio in orizzontale e in verticale, tra generazioni, culture e geografie. “Ed è così. Circa. Più o meno” l’opera presentata dal regista Tonino De Bernardi, ieri pomeriggio durante il terzo giorno della IV edizione del festival cinematografico della Calabria presso l’auditorium della Scuola di Polizia.
De Bernardi, sia prima che dopo, ha voluto raccontarsi e raccontare il suo lavoro, sottolineare la sua poetica informale e sperimentale, così come il suo modo di essere. Il suo lavoro rispecchia in profondità il suo sentimento rivelando un mondo che è destinato a scomparire, quello contadino, presente nella sua autenticità, ma destinato a morire, perché i personaggi che ancora lo incarnano, come dei sopravvissuti, sono anziani.
L’innesto con il mondo dell’infanzia sembra presagire ad una speranza, negli sguardi vivi e meravigliati dei bambini a contatto con la natura. L’indefinitezza del titolo sembra rievocare l’uomo in crisi di Luigi Pirandello, nel dramma “Così è se vi pare”. Al contrario però De Bernardi non indossa nessuna maschera. Nella sua opera è visibile una ricerca, una rievocazione di un mondo lontano ma anche vivo, come le campagne piemontesi, in cui la simbiosi tra animali, natura e persone non conosce confini, ma anche nel rapporto tra le generazioni (anziani/bambini) in cui sembra identificarsi la catarsi del parto finale di una mucca in presa diretta. Sette capitoli come sette tessere di un mosaico in cui si vivono i contrasti di culture ed esperienze diverse, con una struttura ciclica e una climax: dagli ambienti indefiniti immersi nella nebbia del primo capitolo, ai paesaggi soleggiati con i bambini, in cui i contorni della realtà sono nitidi, e il leit-motiv della campagna e del mondo contadino ritornano e scandiscono il ritmo del film, che diventa poi il messaggio forte, nella incerta del resto, così come il canto finale in lingua portoghese (richiamando il fado) e in italiano.
De Bernardi non ama definire il suo lavoro come documentarista, ma opera personale, originale, di testimonianza, con un messaggio sociale e spirituale, contrassegnata dal canto patetico di una cantante professionista che è sempre presente nei suoi lavori; una sorta di linguaggio universale che possa liberare l’uomo dalle sovrastrutture e dal dramma della vita disperata di un ragazzo brasiliano e di una ragazza nigeriana usciti dal mondo della prostituzione e della morte nell’episodio della sepoltura in Grecia, con il rito ortodosso. Il suo viaggio nei mondi, dalla sua terra natia, il Piemonte, all’India, alla Grecia, per ritornare infine con l’atto finale della nascita e del canto. Un crescendo che vuole mandare un messaggio di vita e di speranza, ma dal suo personale punto di vista, come ritorno alla semplicità di un mondo che ha un legame profondo con la terra, da cui si puoi rigenerare l’uomo nuovo. Senza queste radici, non ci può essere salvezza per le generazioni future, come ha avuto modo di spiegare, alla luce anche della sua attività pedagogica con i ragazzi della scuola media come docente.
Tra i suoi lavori pregressi , si ricorda “Il mostro verde” (1967), e diversi lavori informali e sperimentali, che entrano nel circuito underground italiano ed europeo. Nel 1999 realizza “Appassionate”, una storia di amore e morte ambientata a Napoli degli anni ’30 e scandite da canzoni dell’epoca. Con “Rosatigre” (2000) riconferma il suo amore per l’Italia meridionale.