“Intestazione fittizia”, Dda chiede la condanna per i fratelli Vrenna e l’ex procuratore Tricoli
Due anni e sei mesi per i fratelli Raffaele e Giovanni Vrenna, ed un anno e otto mesi per l’ex procuratore della Repubblica di Crotone Franco Tricoli.
È questa la richiesta di condanna avanzata da Domenico Guarascio, sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, nei confronti del presidente dell’Fc Crotone, di suo fratello e dell’ex magistrato, ora in pensione, che sono accusati, in concorso, di aver posto in essere “operazioni societarie e commerciali volte ad attribuire fittiziamente ad altri la titolarità o la disponibilità di quote societarie, beni ed altre utilità” che secondo gli inquirenti sarebbero di fatto riconducibili allo stesso Raffaele Vrenna.
Scopo dell’operazione, sempre in base alla tesi della Dda, sarebbe stato quello “di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniali”.
Nel 2008, il patron del Crotone, allora anche presidente della Confindustria locale e vice presidente di quella regionale, fu coinvolto nell’inchiesta “Puma”, condotta sempre dalla Dda, e che vide alla sbarra alcuni esponenti del mondo politico locale e regionale che, secondo l’accusa, avrebbero mantenuto rapporti ed affari con il clan della ‘ndrangheta crotonese dei Maesano di Isola Capo Rizzuto.
Allora Vrenna costituì un trust per la sua holding aziendale affidandone a Franco Tricoli la gestione. La distrettuale antimafia sostiene che questa soluzione sia stata adottata per eludere eventuali misure patrimoniali antimafia.
Nel dicembre del 2013 il numero uno rossoblù, incassò l’assoluzione piena da tutti i reati contestatigli, tra cui quelli di falso ideologico e di scambio elettorale, oltre che all’ipotesi più grave rappresentata dal concorso esterno in associazione mafiosa.
Risale invece all'estate 2008 la prima condanna a quattro anni che lo portò a decidere di dimettersi da tutte le cariche istituzionali (da presidente di Confindustria Crotone e vice presidente degli industriali calabrese), ad abbandonare la gestione delle sue aziende e anche la presidenza della società calcistica.
Il processo d'appello ribaltò la sentenza di primo grado, facendo cadere le accuse di concorso esterno e corruzione elettorale. Nel novembre del 2011 la sesta sezione della Corte di Cassazione confermò l’assoluzione annullando con rinvio la condanna di secondo grado ad un anno e 4 mesi per falso e corruzione. La sentenza d’appello era stata emessa il 28 settembre del 2009 e successivamente la Procura generale di Catanzaro aveva presentato ricorso.
Il prossimo 16 novembre, intanto, si tornerà in aula davanti al gup Pietro Carè.