Sigilli ai beni della cosca Crea. Confisca del valore di un milione di euro
È di un milione di euro il valore dei beni confiscati questa mattina alla cosca Crea. Si tratta di un edificio adibito ad abitazione, a piano terra e con un’ampia corte; di sei fabbricati usati come stalle; un altro immobile usato come caseificio e completo di attrezzature e di cinque appezzamenti di terreno di vaste dimensioni.
Questa mattina la polizia, a seguito di un’articolata attività investigativa coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ha messo a segno un altro attacco a quelli che sono ritenuti gli interessi criminali della cosca che opera nella Piana di Gioia Tauro.
Su proposta del Questore del capoluogo dello Stretto, infatti, il Tribunale ha disposto la confisca dei beni di Giuseppe Crea, 39enne figlio di Teodoro (di 78 anni), considerato il boss del clan arrestato il 29 gennaio 2016, dopo dieci anni di latitanza. dagli agenti della Squadra Mobile e del Servizio Centrale Operativo, che eseguirono allora quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse per i reati di associazione mafiosa, estorsione e altro.
L’attività in questione rappresenta l’evoluzione delle indagini, condotte sempre dalla Mobile e coordinate dalla Dda reggina (la cosiddetta Operazione “Deus”), a conclusione delle quali, il 4 giugno del 2014 era stata eseguita un’altra ordinanza, con la quale in 16 erano finiti in carcere o ai domiciliari con le accuse di associazione di stampo mafioso, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni e truffe alla Comunità Europea.
Le indagini avrebbero evidenziato “l’assoluta egemonia della cosca Crea”, esercitata sul territorio una vera e propria “signoria”, tanto nelle attività criminali portate avanti, quanto nel condizionamento della vita pubblica, così da portare nel 2011 allo scioglimento del Consiglio comunale di Rizziconi.
Giuseppe Crea, sostengono gli stessi inquirenti, nonostante fosse latitante dal 2006, avrebbe dichiarato di essere un imprenditore agricolo, procurandosi un falso profitto, dal momento che l’Agea gli avrebbe erogato i contributi comunitari relativi al Piano di Sviluppo Rurale, per oltre 180 mila euro.
Le indagini patrimoniali, condotte dall’Ufficio Misure di Prevenzione della Divisione di Polizia Anticrimine, dimostrerebbero quindi una sproporzione tra i redditi percepiti dall’uomo e il patrimonio a lui direttamente o indirettamente riconducibile, che è ritenuto pertanto come il frutto del reimpiego di capitali illeciti.