Omicidio a Pesaro. La denuncia: ordine d’ammazzarlo partito dal carcere?
Dopo la comparsa di un presunto super testimone (LEGGI) che potrebbe essere d’aiuto agli investigatori per ricostruire l’efferato omicidio di Marcello Bruzzese, il 51enne di Rizziconi, fratello del collaboratore di giustizia Biagio Girolamo, ammazzato la notte di Natale a Pesaro (LEGGI), spunta anche l’ipotesi che l’ordine di farlo fuori possa essere arrivato direttamente dai vertici della ‘ndrangheta e, in particolare, addirittura dal carcere.
A denunciare questa possibilità è Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP., il Sindacato Polizia Penitenziaria. Il sindacalista analizza infatti il recente blitz che ha portato all’arresto di esponenti di spicco delle cosche crotonesi (LEGGI), arrivando fino in Sud America e colpendo buona parte dei “capo famiglia” che finiti dietro le sbarre. Boss che proprio dalle celle dei penitenzieri continuerebbero però a svolgere il loro ruolo di controllo dei territori così come di ordinare omicidi.
Per Di Giacomo non ci sarebbe da preoccuparsi solo della gravissima “falla” che si sarebbe verificata nel sistema di protezione del collaboratore di giustizia, e che ha portato all’assassinio di Bruzzese, ma bisognerebbe anche svolgere delle indagini nella sorveglianza delle celle, persino in quelle degli istituti di massima pena dove sono detenuti i soggetti sottoposti al 41 bis, il cosiddetto "carcere duro".
“È da tempo - afferma il segretario della Spp - che mettiamo in guardia il Ministero di Grazia e Giustizia, l’Amministrazione Penitenziaria, gli inquirenti, i comandi delle forze dell’ordine: il contrasto alla criminalità organizzata, oltre che attraverso inchieste ed operazioni che colpiscono ripetutamente ‘ndrangheta, mafia, camorra, sacra corona unita va attuato anche nelle carceri”.
Cosa che non avverrebbe, sempre secondo il sindacalista che lancia una bordata invece al Ministro della Giustizia, Bonafede, e a quello degli Interni, Salvini che a suo dire “si occupano solo di tenere il conto degli arresti sino ad annunciare, irresponsabilmente, come fa Salvini che la mafia tra qualche mese sarà distrutta”.
Di Giacomo fa presente che da tempo la Sigla abbia messo sul chi va là l’Amministrazione Penitenziaria e la magistratura sul fatto che le operazioni di reclutamento di nuova manodopera criminale avverrebbero proprio in cella e ad opera di capi clan.
“Del resto - ricorda il segretario - non è un caso che lo scorso anno il numero totale di cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani è di 337. Quasi due per ogni carcere. Con un aumento del 58,22 per cento rispetto al 2016 (quando i cellulari o le sim rinvenuti furono 213)”.
Anche per questo il sindacato degli agenti penitenziari insiste nel “non assumere atteggiamenti 'buonisti' e permissivi nei confronti dei detenuti sottoposti al 41 bis” con l’illusione magari “di bloccare i ‘pizzini’ e gli ordini che i boss dalle celle impartiscono comodamente con il telefonino”.
“A 25 anni dalla introduzione del regime carcerario duro per i boss il problema centrale - sostiene ancora Di Giacomo - non è certo quello di regolamentare e uniformare in tutti gli istituti penitenziari la reclusione dei 728 detenuti ad oggi sottoposti al 41 bis, quanto, piuttosto, almeno per noi, è garantire che il regime carcerario non diventi più comodo”.
La proposta della Sigla, insomma, è che si metta il personale della Polizia Penitenziaria nella condizione di fare il proprio lavoro in piena sicurezza dotandolo di strumenti adeguati.