Il collaboratore Mantella svela un “sistema” in suo sostegno, nei guai diversi professionisti
Un vero è proprio “sistema”, alla cui base c’erano medici e avvocati, avrebbe evitato il carcere al boss vibonese Andrea Mantella, oggi collaboratore di giustizia.
Mantella con le sue rivelazioni colpisce i “vecchi amici”, portando così a conoscenza della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, numerosi nomi ed episodi avvenuti.
Ci sarebbe di tutto nel fascicolo che esemplifica le ipotesi accusatorie: avvocati, periti e consulenti tecnici che non si sarebbero tirati indietro, a giudizio dei magistrati, dinanzi alle pretese del boss.
E avrebbero commesso a vario titolo, ed in varie circostanze, reati di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria, falsa perizia o interpretazione, falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale sulle identità e qualità personali proprie o di altri, favoreggiamento personale in concorso, reati aggravati dalla mafiosità.
Reati per i quali i pubblici ministeri della Dda di Catanzaro Andrea Mancuso e Annamaria Frustaci hanno iscritto nel registro degli indagati 16 persone.
I NOMI
Si tratta di: Andrea Mantella, 46 anni, di Vibo; Silvana Albani, 69 anni, di Camerino; Luigi Arturo Ambrosio, 82 anni di Altilia; Domenico Buccomino, 66 anni, di San marco Argentano; Massimiliano Cardamone, 43 anni di Catanzaro; Sabrina Anna Maria Curcio, 51 anni, di Nicastro; Antonio Falbo, 56 anni di Nicastro; Francesco Lacava, 62 anni di Catanzaro; Santina La Grotteria 46 anni, di Maierato; Francesco Lo Bianco, 48 anni, di Vibo; Sergio Lupis, 71 anni di Canolo; Mauro Notarangelo, 51 anni di Catanzaro; Massimo Rizzo, 56 anni, di Catanzaro; Antonella Scalise, 62 anni di Crotone; gli avvocati Salvatore Maria Staiano, 63 anni di Locri; e Giuseppe di Renzo 46 anni di Vibo.
GLI AIUTI A MANTELLA
L’obiettivo dei legali Staiano e Di Renzo e di La Cava, Notarangelo, Cardamone, Curcio, Rizzo e Scalise quali consulenti tecnici della difesa, sarebbe stato quello di dimostrare l’incompatibilità del boss con il sistema carcerario.
E per arrivare a questa sarebbe stata eseguita una perizia psichiatrica che avrebbe dovuto rendere evidente la necessità di trasferire Mantella in una clinica esterna al circuito penitenziario.
Il collaboratore di giustizia avrebbe persino simulato nel febbraio 2006 un tentato suicidio: il medico avrebbe trovato Mantella disteso a terra e “apparentemente privo di coscienza”, rilevando però che tutti i parametri vitali sarebbero stati nella norma e “coerentemente non avrebbe assunto alcun provvedimento terapeutico, lasciando trasparire come nessun effettivo pericolo si fosse verificato per Mantella”.
Il medico si sarebbe quindi limitato a registrare l’evento nella cartella clinica, senza disporre il trasferimento dell’indagato né in infermeria, né in ospedale.
La Cava, in qualità di specialista medico-legale, dopo una visita effettuata nel carcere di Vibo, in seguito al conferimento di incarico del 9 giugno 2006, nella relazione tecnica di parte, nonostante le risultanze del diario clinico, avrebbe attestato falsamente che “Mantella è un soggetto affetto da sindrome suicidaria, che si inserisce in un quadro psicopatologico che potrebbe definirsi disturbo di adattamento”.
Avrebbe allegato la relazione di parte redatta dal consulente esperto in psichiatria Notarangelo: “Sussistono a nostro parere – aveva scritto – fondati motivi per ritenere che v’è incompatibilità tra quanto di patologico presentato dal soggetto con il regime di detenzione in carcere. Risulta pertanto urgente e necessaria la trasformazione dell’attuale misura cautelare in carcere con quella del trasferimento del periziando nel proprio nucleo familiare”.
Notarangelo, poi, in qualità di psichiatra consulente di parte avrebbe attestato falsamente che Mantella sarebbe stato affetto da sindrome suicidaria, così come lo stesso Cardamone e Curcio, che nella relazione allegata alla consulenza di parte del 12 aprile 2017 avrebbe dichiarato che Mantella soffriva di una “compromissione della personalità, sostanzialmente caratterizzata dalla debolezza dell’io”.
LA VIA DI FUGA DAL CARCERE
I legali di Andrea Mantella, a cominciare dal vibonese Giuseppe Di Renzo, sarebbero entrati in gioco nel tentativo di scarcerarlo.
L’avvocato Di Renzo avrebbe depositato il 30 aprile 2007 nella cancelleria del Tribunale di Catanzaro un’istanza di revoca e sostituzione della misura carceraria allegando le false consulenze tecniche di parte finalizzate ad ottenere la scarcerazione di Mantella.
Anche Staiano, secondo l’accusa, avrebbe depositato il 20 agosto 2007 nella cancelleria del gip del Tribunale di Catanzaro un’istanza di revoca della misura cautelare in carcere allegando le false consulenze tecniche di parte di Rizzo e Scalise finalizzate ad ottenere la scarcerazione di Mantella.
Consulenze di parte le cui conclusioni risulterebbero non rispondenti al vero in considerazione di quanto dichiarato dalla stesso Mantella all’inizio della sua collaborazione con la giustizia e di quanto riferito dal pentito Samuele Lo Vato, nonché di quanto già accertato dal consulente del pm Giulio Di Mizio e dal perito incaricato dal giudice Fernando Roccia.
Con l’aggravante per gli indagati di avere agito con la finalità di agevolare la ‘ndrina dei Pardea-Ranisi, attraverso la scarcerazione del suo vertice apicale Mantella, già in precedenza esponente della ‘ndrina Lo Bianco-Barba, divenuto in quel periodo promotore ed organizzatore del gruppo scissionista operante nella città di Vibo a partire dal 9 giugno 2006 fino al 30 aprile 2007.