Morte dopo trasfusione, Ordine: per un medico è una disfatta

Cosenza Salute

Riceviamo e pubblichiamo lettera del presidente dell’ordine dei medici - chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Cosenza, Eugenio Corcioni, sulla morte, avvenuta i primi di luglio nell'ospedale Annunziata di Cosenza:

"Sig. Direttore,

invio questa lettera al Suo giornale per comunicare all’opinione pubblica cosentina, che, a buon motivo, è profondamente turbata per la morte di un paziente nell’Ospedale di Cosenza a seguito di una trasfusione, alcune riflessioni su questo gravissimo caso.

Vorrei chiarire subito i tre motivi della mia lettera:

- il primo, è che scrivo subito, pur sapendo che indagini di varia natura sono tuttora in corso, per senso di responsabilità istituzionale, come Presidente dell’Ordine dei medici della nostra provincia, per far conoscere a tutti (cittadini, medici e sanitari, autorità, inquirenti, istituzioni sanitarie) alcune riflessioni che ho maturato a seguito della conoscenza dello scenario organizzativo e di lavoro entro cui si è prodotto il caso citato;

- il secondo, è che scrivo per senso di responsabilità umana e in particolare come medico, perché se la morte di un paziente è sempre, in qualche misura, uno smacco per un medico, va anche aggiunto che ci sono pur sempre morti e morti, e quella di un paziente, sia pure affetto da patologia cronica, dopo una banale trasfusione è assai peggio che una sconfitta, è una disfatta;

- il terzo, è che, dopo le disfatte, spesso si va alla frettolosa ricerca di comodi capri espiatori, sui quali scaricare interamente il peso delle responsabilità penali, civili e morali, per evitare di andare a fondo dei problemi, per evitare di portare alla luce l’inefficienza, inadeguatezza o peggio la frantumazione dei sistemi organizzativi e di lavoro entro cui si verificano i casi clamorosi (senza per questo escludere o sottovalutare le eventuali colpe specifiche, dei singoli addetti ai lavori). Purtroppo tali capri espiatori vengono sempre più spesso individuati nei medici che, nella stragrande maggioranza dei casi, operano, invece, con coscienza ed abnegazione, tra mille difficoltà, assumendosi rischi (anche personali, oltre che professionali) che non gli competono. Medici che meritano rispetto e che vanno tutelati, salvo, naturalmente rispondere ed essere perseguiti per le loro eventuali manchevolezze.

Non ripeto i passaggi del doloroso episodio di cui parliamo, dei quali il Suo e altri organi di stampa hanno già dato conto. Vorrei sottolineare due punti chiave.

Il primo punto chiave, a mio avviso, è il funzionamento ordinario del Servizio trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, come di ogni altro servizio analogo. Questo Servizio, nel suo insieme, costituisce un articolato sistema composto di molti e distinti segmenti, ognuno dei quali coinvolge diversi protagonisti e risulta regolato, per la preziosità, ma pure la delicatezza della materia-prima sangue (che, come abbiamo tragicamente constatato, spesso salva, ma può, se infetto, uccidere), da un corpo di regole estremamente rigorose. Esse riguardano i soggetti coinvolti (donatori, medici e sanitari, pazienti), le strutture (regole di igiene, conservazione, apparecchiature, indagini cliniche), il trasporto a temperatura stabile, i controlli sistematici, la dotazione di organici e risorse adeguate, il raccordo tra centri pubblici e privati, locali, regionali, nazionali, l’organizzazione e il monitoraggio complessivo, che compete alla direzione generale e alla direzione sanitaria (e tanti altri aspetti sui quali, per semplicità, in questa sede sorvolo).

Il Servizio di Cosenza, era cosa abbastanza nota agli operatori presentava, da lungo tempo, evidenti criticità. E qui veniamo al secondo punto chiave della vicenda.

Solo in questi giorni cercando di capire come sia stato possibile l’accaduto, siamo venuti a conoscenza che:

a) il Servizio Trasfusionale di Cosenza è stato oggetto, nel mese di settembre 2012, di un’ispezione condotta da un gruppo di esperti nominato dalla Struttura commissariale e con la presenza, al suo interno, di un componente nominato dal Ministero;

b) I risultati dell’ispezione, che evidenziava criticità rilevanti, attribuibili tanto a carenze strutturali e tecnologiche, che organizzative, venivano formalmente notificati alle autorità sanitarie direttamente interessate (cioè il Direttore generale, il Direttore Sanitario aziendale e il Direttore del Servizio) nel successivo mese di ottobre 2012;

c) Con la nota di accompagnamento al report ispettivo, evidenziata la gravità delle criticità riscontrate, si chiedeva al direttore generale di adottare, in tempi rapidi (15 – 30 giorni), i necessari interventi e le dovute azioni correttive.

Se tutto quanto sopra evidenziato è vero, ed è vero, è evidente, quindi, che il Servizio nel quale si è verificato il tragico episodio dei giorni scorsi non funzionava ed era inidoneo ai compiti da svolgere. Peggio: era pericoloso, per cui bisognava intervenire urgentemente con immediate, adeguate e profonde azioni correttive. Lo sapeva la Regione Calabria, lo sapevano i Direttori interessati, lo sapeva il rappresentante del Ministero. Che cosa è stato fatto a seguito dell’ispezione: nulla di significativo. Eppure, vale la pena di ricordarlo, alla stessa Regione Calabria erano negli anni pervenute richieste, sollecitazioni, preghiere, documenti ed inviti per far si che venissero rispettate le norme riguardanti i centri trasfusionali.

Ma la Regione ha ignorato anche tante altre cose. Infatti, ha mostrato di non sapere che, oggi: nei Servizi Trasfusionali i Medici ed i laureati sono meno del 1993, pur avendo carichi di lavoro 6 volte maggiori; sono rimasti tre primari di ruolo su 11 previsti; ci sono Servizi Trasfusionali che continuano a lavorare avendo il 50% del personale previsto, a volte anche meno; ci sono Servizi Trasfusionali che non potrebbero rimanere attivi, perché il Personale residuo è sottoposto a turni continui, con sovraccarichi estenuanti di lavoro. Medici che sono trascurati da tutti: i Direttori Generali non li sentono e non li vedono, nemmeno se si dimettono da responsabili della struttura per le gravi carenze a cui non riescono a far fronte.

Tutto questo solleva forse da colpe individuali, anche di natura penale? Evidentemente no, se e quando saranno accertate.

È necessario, però, che sul Sistema Trasfusionale Regionale si faccia luce e si assumano impegni. E non si tratta di soldi e disponibilità economiche perché ci risulta che il sistema trasfusionale regionale non sia riuscito a spendere nemmeno i fondi che dal 2005 arrivano dal governo nazionale. Serve una immediata nuova responsabilità regionale come quella che era stata prevista nella legge regionale n. 24 del 2011, non attuata perché bocciata dal Governo nazionale. Serve immediatamente una distinzione dei ruoli: chi fa l’ispettore di valutazione non può essere la stessa persona che deve valutare e applicare i risultati dell’ispezione. Serve una riforma profonda e complessiva dell’intero Servizio, perché non si ripetano mai più casi come quello di cui ci siamo occupati.

Facciamo sì che questa terribile tragedia, oltre alla individuazione e punizione dei responsabili, ad ogni livello, serva almeno a produrre il cambiamento programmatorio, organizzativo e gestionale per troppo tempo rinviato."




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