Blitz contro le cosche del reggino, 19 arresti per ‘ndrangheta

Reggio Calabria Cronaca

Un blitz con le cosce di ‘ndrangheta del reggino è scattato all’alba di stamani, a Cinquefrondi e in varie province, da parte dei carabinieri del Comando provinciale che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti 19 soggetti (18 in carcere ed uno ai domiciliari) a 14 dei quali è contestata l’associazione di tipo mafioso, e per tutti i reati di estorsione, detenzione abusiva di armi, ricettazione, favoreggiamento personale, danneggiamento seguito da incendio, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate, violazione di disposizioni per il controllo delle armi ed in materia di armi clandestine, detenzione di stupefacenti.

L’ordinanza è stata emessa dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria su richiesta della Direzione distrettuale antimafia e l’operazione è stata eseguita, in particolare, oltre che nel reggino anche nelle province di Verbania, Firenze, Cosenza, Catanzaro, Vibo Valentia e Chieti.

Il provvedimento è stato emesso nell’ambito del stesso procedimento penale, coordinato dalla Procura Distrettuale e le cui indagini sono state condotte dai militari di Taurianova dal novembre 2013, indagini che hanno già portato all’arresto di otto persone, al sequestro di oltre un chilogrammo di cocaina ed al ritrovamento di numerose armi e munizioni.

Nello stesso contesto, il 15 dicembre 2015, nell’operazione “Saggio Compagno” è stato eseguito un Decreto di Fermo e l’8 gennaio scorso un’Ordinanza di Custodia Cautelare rispettivamente nei confronti di 36 e 29 persone, oltre che un sequestro preventivo di beni (mobili, immobili e conti correnti) per un valore complessivo di circa 400 mila euro.

In particolare, le indagini, che si sono avvalse anche delle dichiarazione di collaboratori di giustizia, avrebbero permesso agli inquirenti di delineare gli assetti dell’organizzazione criminale nonché di dimostrare l’appartenenza degli indagati, anche con ruoli di vertice, alle cosche “Petullà”, “Ladini” e “Foriglio, articolazioni autonome della locale di ndrangheta di Cinquefrondi, che opera per l’appunto nel comune reggino e in quello di Anoia con ramificazioni in tutta la provincia ed in varie altre province.

L’attività della cosca, sostengono gli inquirenti, avvalendosi “della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo” sarebbe stata finalizzata al controllo ed allo sfruttamento delle risorse economiche della zona attraverso una serie indeterminata di delitti in materia di armi, esplosivi e munizionamento, contro il patrimonio, la vita e l’incolumità individuale, in materia di commercio di stupefacenti, oltre reati volti ad acquisire direttamente e indirettamente la gestione o il controllo di attività economiche, in particolare nel settore degli appalti boschivi, ed ogni altra attività illecita.


GLI SVILUPPI DELLE INDAGINI PRECEDENTI

L’operazione “Saggio Compagno” è stata così denominata, perché trae origine dall’appellativo con cui il principale indagato, Giuseppe Ladini, si rivolgeva al suo più fidato sodale, Leonardo Tigani. Le indagini avviate dai Carabinieri di Taurianova nel 2013, sviluppavano ulteriormente alcune acquisizioni investigative di un’altra operazione, la “Vittorio Veneto”, che all’epoca aveva consentito di trarre in arresto 8 persone per associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e violazioni in materia di armi, e successivamente aveva determinato la collaborazione dell’esponente di vertice di quel sodalizio, Rocco Francesco Ieranò (tuttora detenuto).

Quest’ultimo, dopo essersi dichiarato fin dall’inizio ‘ndranghetista ed appartenente alla ”Locale di Cinquefrondi”, aveva riferito preziose informazioni in merito al presunto assetto della struttura criminale di cui faceva parte, con particolare riferimento al ruolo rivestito da Ladini, indicato come ‘ndranghetista appartenente alla stessa locale, con un ruolo apicale ed associato alla carica del “Vangelo”.

Il complesso delle attività tecniche (intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché riprese video) e di riscontro, incrociato ed analizzato con le risultanze investigative derivanti anche dalla collaborazione di Ieranò, ha permesso così di individuare i soggetti considerati appartenenti alla “Locale di Cinquefrondi”, che peraltro frequentavano l’abitazione di Ladini o comunque gravitavano a vario titolo attorno alla sua figura. Inoltre si sarebbero colte, “in maniera inequivocabile”, sostengono gli inquirenti, le varie condotte compiute anche da ciascuno degli arrestati, “dimostrando – proseguono i militari - la loro attiva collaborazione alle varie attività illecite di Ladini e della Locale… di cui facevano parte”.


I RISCONTRI INVESTIGATIVI

Riscontri delle prime risultanze investigative, erano infatti già stati anche: l’arresto in flagranza, eseguito il 1° marzo 2014, di Ettore Crea (tuttora detenuto), considerato il rampollo dell’omonima famiglia mafiosa di Rizziconi (RC), trovato in possesso di un fucile mitragliatore di provenienza illecita, la cui compravendita era stata trattata poco prima con Ladini presso la sua abitazione; il fermo di indiziato di delitto, eseguito il 25 marzo 2014 nei confronti di Giuseppe Ladini, il quale aveva manifestato l’intenzione di disperdere tutto il materiale illecito di cui disponeva, nonché di darsi alla fuga (nella circostanza erano state recuperate anche numerose armi e parti di armi, nonché un chilogrammo di cocaina, il tutto oggetto delle trattative condotte da Ladini con gli altri indagati); il fermo di indiziato di delitto, eseguito il 7 aprile 2014 nei confronti di Antonella Bruzzese, Lorenzo Bruzzese, Emanuele Papaluca, Leonardo Tigani, Antonio Raco e Antonio Valerioti, sul conto dei quali erano già stati riscontrati elementi di responsabilità, in particolare in ordine al traffico di armi condotto insieme a Ladini.

Le dichiarazioni del collaboratore Ieranò avrebbero poi trovato rispondenza innanzitutto nelle attività tecniche eseguite presso l’abitazione di Ladini, dove peraltro lo stesso continuava a delinquere senza alcuna remora nonostante fosse sottoposto a detenzione domiciliare.

L’indagine aveva poi permesso di accertare che Ladini, con la stretta collaborazione morale e materiale innanzitutto della moglie e del suo nucleo familiare aveva manifestato la chiara volontà di costituire a Cinquefrondi (RC) una nuova articolazione criminale sotto la sua guida e, a tal fine aveva intrattenuto una serie di rapporti con numerosi pregiudicati, facenti capo non solo al contesto delinquenziale cinquefrondese, ma anche ad altre aree della Province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, “dando quindi prova della sua caratura criminale e dell’importanza della locale di cui faceva parte”.


IL PROGETTO DI LADINI: UNA NUOVA ‘NDRINA

La misura cautelare di oggi, originata dallo contesto investigativo dei provvedimenti eseguiti il 15 dicembre e l’8 gennaio scorsi, è stata quindi emessa nei confronti di ulteriori soggetti ritenuti ugualmente appartenenti e contigui alla “Locale di Cinquefrondi”, a carico dei quali però non erano stati precedentemente ravvisati i presupposti per l’emissione del provvedimento di Fermo eseguito il 15 dicembre 2015.

Tra i vari fatti contestati, nell’ambito del progetto di Ladini di costituire una propria ‘ndrina, era emerso anche il suo intento di acquistare il ristorante “Il Fungo” di proprietà del presunto “Capo Locale” Costantino Tripodi (già arrestato in occasione dell’operazione del 15 dicembre 2015): “quel luogo - è la tesi degli investigatori - non costituiva infatti un mero oggetto di investimento, ma esprimeva un’elevata valenza simbolica, in quanto era di proprietà del vecchio ‘Capo Locale’ di Cinquefrondi, ma soprattutto era il luogo attorno al quale anche nel recente passato avevano gravitato i personaggi di maggiore spessore della ‘Locale’, tra cui Rocco Francesco Ieranò, che in occasione della sua cattura nell’estate del 2013 fuggì proprio da quel luogo”.

Inoltre, lo spessore criminale della figura di Ladini e di tutti i personaggi che lo circondavano emergerebbe anche nell’occasione in cui rimproverò Angelo e Raffaele Petullà (già arrestati il 15 dicembre 2015), per aver aggredito verbalmente e fisicamente un operaio boschivo della zona, ritenuto colpevole di aver tagliato degli alberi in una zona che risultava invece di interesse proprio della famiglia Petullà.

“La disapprovazione di Ladini – spiegano ancora gli inquirenti - palesata nella sua abitazione ed alla presenza dei … Petullà, si riferiva al fatto che una simile aggressione compiuta nei confronti di un soggetto che si stava recando proprio a casa sua, avrebbe rischiato di incrinare la sua autorevolezza ed il suo prestigio criminale agli occhi esterni.”

Altra conferma dell’influenza e controllo del territorio esercitato da Ladini sarebbe l’episodio in cui un abitante del luogo si era recato presso la sua abitazione per lamentare il comportamento del suo “fidato sodale”, Leonardo Tigani, il quale, pur avendo ricevuto nel tempo numerosi favori, avrebbe comunque appiccato un incendio ad una casetta rurale di sua proprietà, ritorsione per una controversia di vicinato scaturita dall’eccessiva sporgenza di un albero.

“Infatti - proseguono i militari - sono stati diversi gli ammonimenti che Ladini aveva conseguentemente rivolto a Tigani, per essersi mal posto nei confronti di una persona che si era sempre manifestata ‘disponibile’, innanzitutto per non aver denunciato il danneggiamento”.

Lo spessore di Ladini e dell’organizzazione nel suo complesso, sono stati riscontrati anche con la reiterata presenza di due pluripregiudicati, i gemelli Francesco e Raffaele Ierace, giovanissimi e rampolli della criminalità cinquefrondese, i quali, pur essendo già detenuti da tempo, avrebbero utilizzato i permessi premio di cui beneficiavano anche per fare visita a Ladini presso la sua abitazione: nel corso di questi incontri avrebbero più volte discusso di numerosi aneddoti - presenti e passati - relativi alla vita ed alle attività illecite della “Locale di Cinquefrondi”, “manifestando quindi tutta la loro consapevole partecipazione ed il loro chiaro sostegno al sodalizio”.


LE ARMI, I SOLDI FALSI E LE PARTITE DI COCAINA

Oltre alle movimentazioni di armi di cui si è già fatto cenno, numerose sono state anche le contrattazioni per la compravendita di soldi falsi e partite di cocaina. “Nell’ambito del focolare domestico – sostengono ancora gli inquirenti - non era infatti così raro che Ladini, con l’ausilio dei suoi sodali, prelevasse o trasferisse nel rudere di cui disponeva svariati involucri contenenti stupefacente, che poi confezionava e predisponeva in casa per le sue trattative successive”.

Anche nell’ambito di questa illecita, oltre che per la movimentazione di armi, emergerebbe come i primi e più stretti fiancheggiatori degli affari di Ladini e del suo ruolo di predominio fossero proprio i suoi più stretti familiari, “ad ulteriore conferma del ruolo tipicamente esercitato dalla famiglia anche in questo contesto ‘ndranghetistico”.


GLI ARRESTATI E I REATI CONTESTATI

INDAGATI PER LA VIOLAZIONE DELL’ART. 416 BIS C.P., IN QUANTO RITENUTI APPARTENENTI ALLA STRUTTURA CRIMINALE RICOSTRUITA (CHE SI AGGIUNGONO A QUELLI GIÀ ARRESTATI A SEGUITO DELLE PREGRESSE RISULTANZE INVESTIGATIVE):

Antonella BRUZZESE, moglie di LADINI, già agli arresti domiciliari, ritenuta componente dell’organizzazione con il compito di coadiuvare il coniuge nella custodia e nella compravendita delle armi, nonché nella gestione dei rapporti con gli altri affiliati. La donna, dopo essere stata sottoposta a fermo d’indiziato di delitto nell’aprile 2014 e quindi destinataria di custodia cautelare agli arresti domiciliari, per i reati in materia di armi era già stata condannata nel giugno scorso alla pena di 10 anni e 10 mesi di reclusione e ad una multa di 48.800 euro. Era già emersa nella prima fase delle indagini come persona “a totale disposizione della consorteria per qualsiasi esigenza, palesando inoltre una spregiudicatezza senza pari nella riscossione dei crediti vantati nei confronti di terzi, nell’occultamento delle armi e nella movimentazione delle stesse.

Giuseppe BRUZZESE, già detenuto, ritenuto componente dell’organizzazione in possesso di una dote in corso di accertamento, la cui affiliazione era stata promossa da Rocco Francesco Ieranò;

Serafino BRUZZESE, già detenuto, ritenuto componente dell’organizzazione in possesso di una dote in corso di accertamento, la cui affiliazione era stata promossa da Rocco Francesco ieranò;

Fortunato FORIGLIO, ritenuto componente dell’organizzazione nell’ambito dell’omonima cosca, con competenza specifica e quasi esclusiva nel settore delle estorsioni. “Storico appartenente alla ‘ndrangheta – affermano gli investigatori - Foriglio aveva assunto in più circostanze gravi comportamenti intimidatori, sintomatici della sua capacità di imporre atteggiamenti omertosi, palesando una spregiudicata reiterazione anche delle condotte che già in passato ne avevano determinato la condanna sia per estorsione, che per associazione mafiosa;

Raffaele GIOVINAZZO, già detenuto, individuato quale componente dell’organizzazione in possesso di una dote in corso di accertamento, la cui affiliazione era stata promossa da Iranò del quale sarebbe stato il fidato “braccio destro” e con il quale si era sottratto alla cattura nel luglio 2013, nel corso dell’operazione “Vittorio Veneto”;

Francesco IERACE, già detenuto, ritenuto come componente dell’organizzazione, facente parte della cosca Ladini con il ruolo di coadiuvare il capo;

Raffaele IERACE, già detenuto, fratello gemello di predetto Francesco, ritenuto componente dell’organizzazione, facente parte della cosca con il ruolo di coadiuvare il capo.

I gemelli Ierace, discendenti dell’omonima famiglia di storiche tradizioni ‘ndranghetiste, sarebbero, al pari di Ladini, fra i personaggi di maggior rilievo del sodalizio mafioso, in quanto, pur essendo detenuti, come già detto avrebbero spesso utilizzato i permessi premio di cui beneficiavano per frequentare l’abitazione di Ladini e sostenerlo nel suo progetto di costituire di una propria ‘ndrina autonoma nell’ambito della “Locale di Cinquefrondi”;

Giuseppe LADINI, già detenuto, ritenuto componente dell’organizzazione in possesso della dote del “Vangelo” e capo dell’omonima cosca operante nella Contrada Petricciana di Cinquefrondi;

Maurizio MONTELEONE, ritenuto componente dell’organizzazione in possesso della dote di ”Picciotto”. Incensurato e residente da tempo a Domodossola (VB), nei periodi in cui faceva ritorno in Calabria avrebbe partecipato alle riunioni di ‘ndranghetamanifestando la propria disponibilità in favore dei sodali, e quindi fattivo sostegno al sodalizio”;

Angelo NAPOLI, ritenuto componente dell’organizzazione e in possesso della dote di ”Sgarrista”: incensurato, avrebbe preso regolarmente parte anch’egli alle riunioni di ‘ndrangheta, così facendo “dimostrandosi quindi pienamente a disposizione degli altri sodali”;

Antonio RACO, già detenuto, considerato componente dell’organizzazione, facente parte della cosca con il ruolo di coadiuvare il capo nell’attuazione del programma criminoso della sua ‘ndrina;

Leonardo TIGANI, già detenuto, ritenuto componente dell’organizzazione, facente parte della cosca con il ruolo di coadiuvare il capo;

Antonio VALERIOTI, già detenuto, ritenuto componente dell’organizzazione, facente parte della cosca con il ruolo di coadiuvare il capo;

Antonio ZANGARI, considerato componente dell’organizzazione in possesso almeno della dote del “Vangelo”, insignito anche della carica di “Capo Società” e “Contabile”, deputato a rappresentare la “Locale” nei rapporti esterni alla consorteria. Zangari sarebbe stano anche colui che interloquiva con il Capo Crimine Mico Oppedisano deliberando, insieme agli altri, le linee guida di condotta degli affiliati e le competenze nel settore delle estorsioni;

I SOGGETTI INDAGATI PER ALTRI EPISODI, PRINCIPALMENTE RIFERITI A VIOLAZIONI IN MATERIA DI ARMI E STUPEFACENTI (CHE SI AGGIUNGONO A QUELLI GIÀ ARRESTATI A SEGUITO DELLE PREGRESSE RISULTANZE INVESTIGATIVE):

Salvatore BONO, nipote del presunto capo locale Costantino Tripodi, per aver acquistato da Fabio Porcaro, anch’egli considerato appartenente alla ”Locale di Cinquefrondi”, una pistola cal. 22;

Domenico PAPALIA, accusato di aver tenuto condotte “finalizzate ad approvvigionarsi di … cocaina da Ladini”;

Salvatore ROMEO, “per aver detenuto illecitamente due pistole e per aver trattato, unitamente a Ladini, la compravendita di altre armi dello stesso tipo”;

Michele VOMERA, “per aver detenuto e portato illecitamente più volte in luogo pubblico varie armi, oltre che per aver trattato la compravendita di altre con Ladini”.