Faida dei Boschi. Sette fermi tra i clan vibonesi e il ruolo delle “donne di mafia”

Vibo Valentia Cronaca

Si è partiti dal tentato omicidio dei fratelli Giovanni Alessandro (28 anni) e Manuel Nesci, quest'ultimo di appena 13 anni ed affetto dalla Sindrome di Down (LEGGI), arrivando a fare luce su uno spaccato delle attuali dinamiche criminali dell'entroterra vibonese, insanguinato da decenni con la cosiddetta faida dei boschi”, costata diverse decine di morti, e che ha visto contrapposte le famiglie locali dei Loielo e degli Emanuele-Maiolo nel contendersi il controllo del territorio.

STANOTTE IL BLITZ: gli uomini della Squadra Mobile di Vibo Valentia e del Commissariato di Serra San Bruno, con il supporto dello Sco, il Servizio Centrale Operativo di Roma, e del Reparto Prevenzione Crimine del capoluogo calabrese, nell'ambito dell'operazione Black Widows, hanno eseguito un decreto di fermo, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, nei confronti di sette persone ritenute responsabili, a vario titolo, di tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di armi (provento di furto o comunque alterate per aumentarne la potenzialità offensiva, ovvero i cosiddetti fucili a canne mozze), oltre che di ricettazione: reati che sono tutti aggravati dal metodo mafioso.

Le indagini sono state dirette dai Sostituti della Dda Annamaria Frustaci e Filomena Aliberti e coordinate dall’Aggiunto Giovanni Bombardieri e dal Procuratore Capo Nicola Gratteri.

I fermati sono tutti di Sorianello e si tratta di persone appartenenti ai gruppi rivali contrapposti: i Loielo di Ariola di Gerocarne e gli Emanuele di Sorianello. Fra loro anche due donne. Vincenzo Cocciolo, Domenico Inzillo, 63 anni, Michele Nardo, 37 anni; Antonio Farina, 43 anni, Giuseppe Muller, 21 anni; Viola Inzillo, Rosa Inzillo.

LE ARMI NASCONTE E PRONTE PER UN AGGUATO

Le investigazioni avrebbero rivelato i complessi equilibri che portarono, il 28 luglio del 2017, all'agguato mafioso contro i due fratelli, che rimasero gravemente feriti, dipingendo un quadro che gli inquirenti definiscono “a tinte fosche”, fatto cioè di trame che sarebbero state ordite, e senza soluzione di continuità, dagli Inzillo, contigui agli Emanuele, con lo scopo di arrivare ad eliminare la controparte, espressione invece della famiglia Loielo.

È in questo quadro - che ha visto il comprensorio di Sorianello e Gerocarne violentato dalle logiche di sistema proprie della faida - che si inseriscono il ritrovamento di diverso munizionamento pronto all’uso nascosto in anfratti delle vecchie abitazioni di Sorianello, così come il sequestro di armi, cartucciere, passamontagna ed un veicolo che erano custoditi dagli indagati in alcuni stabili disabitati di Gerocarne: il tutto pronto - secondo gli investigatori - per una prossima azione omicidiaria contro i Nesci. Giovanni Nesci era rimasto ferito anche in un altro agguato il 2 aprile 2017 mentre viaggiava a bordo della sua auto. In passato era stato al centro di una vicenda giudiziaria che l'ha visto condannato con l'accusa di tentata estorsione. La Polizia di Stato e in particolare gli uomini della Squadra Mobile di Vibo Valentia e del Commissariato di Serra San Bruno, con il supporto del Servizio Centrale Operativo di Roma e del Reparto Prevenzione Crimine di Vibo Valentia, hanno eseguito nella notte un decreto di fermo, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.

LA MAMMA ANZIANA CON LA PISTOLA NELLE MUTANDE

Sullo sfondo emergerebbe poi la figura delle “donne di mafia”, in particolare quelle degli Inzillo, che sempre secondo la tesi degli investigatori avrebbero operato con una “inusitata violenza delle affermazioni”, con una determinazione “evidenziata nei propositi omicidiari”, con un costante incentivo all'azione assicurato in favore dei "maschi buoni" della famiglia, quelli cioè capaci di commettere le azioni delittuose, oltre che con l'apporto che in prima persona le stesse avrebbero assicurato nella custodia delle armi, in questo caso non avendo nemmeno remore nel coinvolgere la madre anziana, indotta dalle figlie a nascondere una pistola nella sua biancheria intima, così da evitare eventuali controlli delle forze dell'ordine.

L’insieme dei fattori interni ed esterni che hanno pesato sul contesto investigativo ha così creato un clima di costante emergenzialità, che è stata fronteggiata grazie ad una massiccia opera di controllo del territorio ed all’elevata oculatezza e professionalità dimostrata nell’acquisizione delle fonti di prova, il tutto avvenuto con una costante sinergia e sotto la direzione della Dda catanzarese.

(aggiornata alle 11:05)