Gemelli uccisi a Gagliato, chiesta riapertura istruttoria
Riaprire l'istruttoria dibattimentale per acquisire determinanti dichiarazioni di un pentito riguardanti i presunti assassini dei fratelli gemelli 45enni Vito e Nicola Grattà, avvenuto l'11 giugno 2010 a Gagliato (Catanzaro). È questa la richiesta fatta oggi alla Corte d'assise d'appello di Catanzaro, nell'ambito del processo di secondo grado per gli omicidi, dai difensori degli imputati. Gli avvocati Salvatore Staiano, Aldo Casalinuovo e Gregorio Viscomi hanno sollecitato la Corte a riaprire il dibattimento e ammettere agli atti i verbali non più coperti da "omissis" contenenti le parole di Bruno Procopio che, nel coso della sua collaborazione con la giustizia, ha avuto modo di soffermarsi anche sugli odierni imputati. I giudici si sono riservati la decisione in merito all'istanza, che si conoscerà alla prossima udienza del 18 dicembre. La sentenza di primo grado risale al 14 marzo del 2012, quando i giudizi abbreviati per i tre imputati del duplice omicidio Grattà si conclusero con due condanne a venti anni di reclusione e un'assoluzione.
Il giudice dell'udienza preliminare distrettuale, Abigail Mellace, ritenne colpevoli Alberto Sia, 27 anni, di Soverato, avvisato orale di pubblica sicurezza e figlio di Vittorio Sia, 51 anni, il presunto boss ucciso in un agguato il 22 aprile 2010, e Patrik Vitale, 27 anni, di Satriano, cui inflisse una condanna a venti anni di reclusione ciascuno (il pubblico ministero aveva invece chiesto due ergastoli), e scagionò con formula ampia Giovanni Catrambone, 23 anni, di Montepaone (per il quale il pm aveva chiesto una condanna a venti anni) come richiesto dall'avvocato Giovanni Caridi. Gli imputati furono condotti in carcere dai carabinieri il 2 luglio 2010, in esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura distrettuale antimafia, che poi il giudice per le indagini preliminari distrettuale di Catanzaro convalidò. I tre giovani - assieme ai quali è stato indagato anche un minorenne -, secondo la tesi dell'accusa avrebbero partecipato alla ideazione e all'esecuzione dell'omicidio dei Grattà, maturato nell'ambito di una faida tra cosche per il controllo del soveratese, nonché del territorio a cavallo con le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Una delle vittime di questa guerra è stato proprio Vittorio Sia, padre di Alberto, e quest'ultimo assieme a Vitale e Catrambone è stato poi accusato di aver rubato lo scooter utilizzato per l'agguato di chiaro stampo mafioso in cui sono stati freddati i due Grattà - le accuse contestate ai tre sono state concorso in omicidio aggravato, furto aggravato, lesioni e porto abusivo di arma da fuoco -.
Le intercettazioni e i riscontri investigativi hanno permesso ai carabinieri di verificare che i tre giovani avrebbero rubato lo scooter, dopo il duplice omicidio rinvenuto bruciato in località Pietà di Petrizzi, non distante dal luogo dell'agguato, e cioè in una zona che sarebbe sotto il controllo proprio di Sia e degli altri due fermati. Qui i militari hanno rinvenuto anche una pistola 9x19 con quattro colpi nel caricatore, pure bruciata, compatibile con quella utilizzata per l'agguato. In primo grado, comunque, l'impianto accusatorio ha retto solo per due imputati, ed è completamente venuto meno per Catrambone. (AGI)