Spari P.Chigi: gup, Preiti voleva uccidere e mirò a carabinieri
Luigi Preiti "non sparò alla cieca", ma mirò "specificamente alle singole persone". Il 28 aprile del 2013, giorno in cui a Palazzo Chigi giurava il governo Letta, il 50enne disoccupato calabrese aveva tutta l'intenzione di "uccidere i militari presenti in piazza". Ne è convinto il gup Filippo Steidl nelle 28 pagine di motivazioni della sentenza con cui ha condannato l'uomo, il 21 gennaio scorso al termine del giudizio con rito abbreviato, a 16 anni di reclusione per plurimo tentato omicidio, detenzione e porto abusivo di arma e ricettazione. "Tutti i colpi esplosi da Preiti - scrive il gup - sono inequivocabilmente idonei ed univocamente diretti a procurare la morte dei carabinieri Giuseppe Giangrande, Francesco Negri, Delio Marco Murrighile e Lorenzo Di Marco".
Quanto a Giangrande, si legge nel provvedimento, "la finalità omicidiaria espressa dalla condotta è quanto mai evidente, avendo Preiti sparato al capo del militare da brevissima distanza, attingendogli il collo e dunque un distretto chiaramente vitale. Ma non diverse sono le conclusioni per quanto concerne le altre tre vittime". Secondo il giudice, l'imputato "aveva progettato l'attentato contro le istituzioni, tanto da rappresentare falsamente al datore di lavoro, per farsi prestare del denaro, di doversi recare nel Nord Italia dal figlio rimasto vittima di un incidente stradale. L'aggravante della premeditazione non viene certo meno per il fatto che Preiti avesse inizialmente progettato di sparare a dei politici in occasione dell'insediamento del governo in piazza Colonna ed abbia poi rivolto l'azione aggressiva contro i carabinieri. Questi ultimi, infatti, - sottolinea il giudice - non sono stati certo impulsivamente attinti, in un eccesso d'ira, essendo, al contrario, presenze scontate dinanzi alle importanti sedi istituzionali prese di mira e dunque giocoforza contemplati anch'essi, sin dall'inizio dell'ideazione, come bersagli ineludibili dell'azione offensiva".
Nelle motivazioni della sentenza si evidenzia come "la condizione di rabbia e frustrazione per questioni familiari ed economiche lamentata da Preiti non possa minimamente “nobilitare” il movente dell'azione ed attenuare la gravità del gesto, che è, e rimane, un gesto marcatamente antisociale, portato a segno, nel desiderio di conquistare la ribalta mediatica in danno di carabinieri nell'esercizio dei propri doveri istituzionali". Quanto alla presunta o meno lucidità di Preiti, per il giudice "non vi è nulla che possa far dubitare, su un piano psichiatrico forense, della piena capacità di intendere e di volere di Preiti al momento dei fatti". (AGI)