‘Ndrangheta: un anno di ricerche per arrestare Procopio
È servito un anno di indagini, fatte soprattutto di appostamenti e lavoro di intelligence, per assicurare alla giustizia Giuseppe Santo Procopio, 27 anni, latitante dallo scorso anno e considerato elemento di spicco dell'omonima cosca alleata con i Sia e i Tripodi di Soverato. Un giovane considerato "elemento molto pericoloso", hanno evidenziato gli inquirenti nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro, al punto da essere bersaglio di due tentati omicidi a distanza di sei mesi.
Per scovarlo nell'ovile situato nelle campagne di Badolato, a cavallo tra i territori di Badolato, Guardavalle, Isca sullo Jonio e Santa Caterina, ed a pochi chilometri dal vibonese, i carabinieri hanno dovuto camminare per due giorni, a piedi, tra i boschi, dal momento che la zona non era raggiungibile in altri modi senza essere scoperti. Per questo, anche il tentativo di fuga di Procopio, alla vista dei militari è stato inutile, dal momento che la zona era stata cinturata dopo che i carabinieri avevano notato la sua presenza nell'ovile attraverso una finestra. "Devo ringraziare i Cacciatori e i ragazzi dell'Arma di Guardavalle - ha detto il tenente colonnello Giorgio Naselli, comandante del Reparto operativo provinciale - parchè la cattura di Procopio significa che non lasciamo il territorio dopo gli ottimi risultati delle operazioni, ma vogliamo completare il nostro lavoro. Lavorare nelle zone come quella di Guardavalle non è facile, perché i carabinieri sono spesso visti come avulsi al territorio".
A delineare il profilo del ventisettenne sono stati il procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo e il capitano Emanuele Leuzzi, comandante della Compagnia di Soverato, che hanno ricordato i legami molti stretti di Procopio con Salvatore Vallelonga, fratello di Damiano, ritenuto il boss di Serra San Bruno (Vibo Valentia) e ucciso nel 2009. Rapporti così stretti che Salvatore Vallelonga e Giuseppe Santo Procopio furono vittime di un agguato mentre si trovavano insieme nei boschi a cavallo tra le due province; il primo venne ucciso, il secondo si salvò perché indossava un giubbino antiproiettile, rinvenuto successivamente dai Carabinieri durante una perquisizione. "Procopio venne curato a Reggio Calabria - ha spiegato il capitano Leuzzi - quindi decise di allontanarsi, raggiungendo alcuni parenti al nord, perché sapeva che rischiava di essere ucciso. Per questo era già irreperibile quando fu colpito dal fermo per l'operazione 'Show down' contro le cosche Sia-Procopio-Tripodi". A 27 anni, dunque, Procopio era un punto di riferimento nella criminalità organizzata del Soveratese, "considerato una spina nel fianco per i Gallace - ha concluso il capitano Leuzzi - dal momento che il giovane viveva nella loro terra, a Guardavalle, considerata la loro roccaforte".