Clan del Soveratese, scattano i sigilli ai beni del presunto boss
Ammontano a circa 5 milioni di euro i beni su cui gli uomini del Gico di Catanzaro, coordinati dal procuratore della Nicola Gratteri, dall’Aggiunto Vincenzo Luberto e dal sostituto Vincenzo Capomolla, questa mattina hanno eseguito un provvedimento di sequestro e confisca emesso dalla Seconda sezione del tribunale del capoluogo su richiesta della Procura Distrettuale.
Il destinatario è Maurizio Tripodi, ritenuto un esponente di vertice della cosca “Sia-Procopio-Tripodi” e collegata al clan di ‘ndrangheta dei Vallelunga di Serra San Bruno.
Una ‘ndrangheta che gli stessi inquirenti definiscono “imprenditoriale”, quella dei Sia-Procopio-Tripodi, che - spiegano - ha creato nel basso ionio Soveratese un vero e proprio centro di potere, controllando diversi settori economici: dal vecchio business dei boschi al nuovo e più redditizio mercato del turismo, passando attraverso gli stupefacenti.
Tripodi, considerato affiliato alla cosca, già sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per 5 anni, il 10 maggio del 2012 fu arrestato nell’ambito dell’operazione “Showdown” e poi condannato in primo grado a 12 anni e mezzo di reclusione, perché ritenuto colpevole, tra l’altro, di associazione mafiosa. La sentenza fu poi confermata in Appello.
È stato anche condannato, sempre in secondo grado, a 20 anni per l'omicidio - e il successivo occultamento di cadavere - di Giuseppe Todaro, scomparso il 22 dicembre del 2009 a Soverato. Delitto che, secondo gli investigatori, si inquadrerebbe nella cosiddetta "Faida dei boschi" e che sarebbe stato commesso da Tripodi in collaborazione con il defunto “boss” Vittorio Sia.
Le indagini patrimoniali condotte a suo carico dalle fiamme gialle hanno così portato al provvedimento di oggi avendo messo in evidenza una presunta sproporzione tra i beni nella disponibilità di Tripodi (sebbene in larga parte intestati formalmente alla moglie e ai figli), il suo effettivo tenore di vita e redditi dichiarati ufficialmente.
L’uomo, nel corso degli anni, è risultato dipendente di una ditta edile e imprenditore agricolo, presentando dichiarazioni che i militari giudicano “del tutto incoerenti con l’ingente patrimonio posseduto” e così come ricostruito dalle indagini. Al tempo stesso la moglie sarebbe risultata “solo formalmente” titolare di una ditta che commercia carni e di quote di partecipazione in diverse società, che i finanzieri reputano di fatto riconducibili a Tripodi, “effettivo gestore delle attività economiche”, sostengono gli investigatori.
I beni cautelati oggi sono composti da quote societarie, due complessi aziendali, altrettanti automezzi, tre fabbricati, cinque terreni, il tutto nella provincia di Catanzaro, in particolare tra Soverato, Satriano e Davoli.