Darfur: blitz finisce in strage, timori per Azzarà
Tredici poliziotti uccisi e almeno altri 30 feriti: è il bilancio del blitz tentato dalle forza di sicurezza sudanesi nel pieno della provincia ribelle e insanguinata del Darfur per liberare tre soldati rapiti da uomini armati. Un'azione, avvenuta ieri e resa nota oggi, che ha fatto temere che l'obiettivo (fallito) fosse anche la liberazione del cooperante italiano Francesco Azzarà, rapito nel Darfur in agosto: timore alimentato da alcune fonti della stessa polizia sudanese, citate dal quotidiano Al-Ahdath e rilanciate dalle agenzie di stampa, ma poi smentite prima dal governatore del South Sudan, subito dopo dalla Farnesina che ha spiegato che il raid non ha "alcuna relazione con il caso Azzarà". E infine anche dall'Ong Emergency, per la quale il cooperante lavora. Francesco Azzarà, 34 anni, di Motta San Giovanni (Reggio Calabria), è stato rapito lo scorso 14 agosto nella città di Nyala, capoluogo del South Darfur, mentre in auto era diretto all'aeroporto per accogliere un collega da Khartoum. Nell'auto, circondata da uomini armati che l'hanno costretto a scendere, viaggiavano altri due colleghi di Emergency, ha fatto sapere l'Ong fondata da Gino Strada. Azzarà era alla sua seconda missione a Nyala come logista del Centro pediatrico aperto da Emergency in città nel luglio del 2010. Fra i tre ostaggi che si è tentato di liberare nel blitz della polizia sudanese, scriveva Al-Ahdath, figurava anche "un uomo d'affari di Nyala". A smentire ogni relazione con il cooperante italiano è stato dal governatore Abdel Hamid Kasha, che ha laconicamente precisato che i poliziotti cercavano di liberare tre militari presi prigionieri da gruppi armati non meglio precisati, lasciando attorno alla natura e alla dinamica dell'azione una scorza di mistero. "A noi non risulta che il blitz in Sudan riguardi la liberazione del nostro collaboratore Francesco Azzarà. E' quanto abbiamo appreso da fonti locali", ha detto poi per telefono all' ANSA la presidente di Emergency, Cecilia Strada. Le fonti, precisa un comunicato dell'organizzazione umanitaria, sono "autorità di Khartoum e Nyala e nostri contatti locali". Il Darfur vive in uno stato di guerra civile strisciante da quasi otto anni che si stima abbia provocato 300.000 morti e circa due milioni di sfollati, fuggiti alla sistematica e violenta pulizia etnica sulla popolazione nera della provincia sudanese praticata da bande di etnia araba, che si ritiene siano controllate da Khartoum. E per le quali il presidente sudanese, Omar el-Bashir è stato incriminato dalla Corte penale internazionale (Cpi). Il conflitto negli ultimi anni si è complicato per le divisioni fra varie fazioni ribelli.