La consigliere regionale Gabriella Albano sui tragici fatti di Corigliano

Catanzaro Cronaca
Gabriella Albano

«Grottesca, arretrata, ai limiti dell'inciviltà. E' questa la Calabria che conquista la prima pagina dei giornali, descritta da corregionali in fuga e da giornalisti che poco conoscono del territorio: una rappresentazione parziale e deviata che offende i cittadini, indigna le donne e non nasconde il solito, inquietante, tanfo di razzismo».

Non usa mezzi termini Gabriella Albano: con la schiettezza di chi è donna, mamma e medico, prima che figura istituzionale, il consigliere regionale ha inteso commentare la negativa ribalta conquistata dalla Calabria nelle ore successive ai tragici fatti di Corigliano Calabro.

«Morire a 16 anni è inaccettabile, farlo in questa maniera lo è ancora di più. Il solo pensiero che una ragazzina possa essere accoltellata e poi bruciata dal fidanzatino pari età rattrista e lascia sgomenti, ma ciò non deve dare adito a generalizzazioni dannose o a letture parziali. E' successo in Calabria, è vero, ma sarebbe potuto succedere ovunque. Legare la brutalità del gesto alla cultura della nostra regione, parlare di una terra apertamente ostile alle donne, perennemente tesa alla loro discriminazione sociale e fisica, è quanto di più sbagliato si possa fare».

Eppure è ciò che si legge sulle versioni onLine del Corriere della Sera e de Il Fatto Quotidiano.

«La data è quella del 27 maggio, e i titoli sono già tutto un programma: "Sono nata nella terra dove è stata uccisa Fabiana: io sono scappata, lei non c’è riuscita" scrive Francesca Chanouqui, "Calabria, la donna non vale nulla" ribatte Domenico Naso. Un "uno-due" che lascia senza fiato e che manda al tappeto il calabrese lettore. La donna in questa terra non ha scelta, dicono. E' semplicemente "fimmina", le tocca il silenzio e se contravviene "parte il ceffone, il pugno, il calcio", retaggi di una sovrastruttura sociale basata sulla virilità, simboli culturali di una terra geneticamente votata all'odio nei confronti del genere femminile. Un po' come le vecchie teorie dell'antropologo Lombroso: è calabrese, ha un cranio di 520 millimetri di diametro, deve per forza essere un criminale. Ma è davvero così? La Calabria che vedo io - afferma con orgoglio la Albano - è una terra in cui le donne sono protagoniste attive della loro vita, privata e professionale. Una terra in cui la famiglia non è "un mostro mitologico, un aguzzino", ma un nucleo d'amore, costruito dal sudore dei genitori e cementato dai sorrisi dei figli. Anche la quotidianità della Calabria è fatta di mamme che baciano le figlie, spesso le accompagnano anche al consultorio, tanto per smentire uno dei luoghi comuni gettati nella mischia per screditare la nostra regione. Le donne sono libere di scegliere un marito, mettere la gonna corta e truccarsi, possono parlare in pubblico e pranzare al tavolo assieme ai commensali di sesso maschile. In Calabria la donna non è sinonimo di camicie stirate e piatti caldi, ma simbolo di coraggio e caparbietà. Lo si legge negli occhi di chi è rimasto e di chi è tornato, con l'obiettivo di costruire un futuro su questa terra. La Calabria che vive - conclude il consigliere regionale - è fortunatamente diversa da quella raccontata, e il marchio d'infamia attribuitole in maniera così approssimativa deve per forza di cose essere smentito e rifiutato, con la stessa forza e convinzione con cui si condanna la violenza sul corpo delle donne».


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