Omicidio Garofalo. Assassino si pente in una lettera: “Non ho giustificazioni, sono morto anche io”
Mostra pentimento Vito Cosco, fratello maggiore di Carlo, ex marito di Lea Garofalo, la testimone di giustizia uccisa e bruciata nel 2009 dal coniuge, dal cognato, da Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino.
E ha deciso di affidare le parole del proprio dolore a una lettera scritta tra le quattro mura della cella di Opera, dove si trova detenuto per scontare l’ergastolo per il delitto e la distruzione del cadavere.
Nella missiva Cosco scrive di non aver alcuna “giustificazione” per quello che ha “fatto” e ha affermando che “se esiste un aldilà ho bisogno che la vittima continui a disprezzarmi per non aver fatto nulla per fermare quella follia”.
Nella lettera condanna poi le sue azioni contro Lea, anche se limita il ruolo al solo occultamento del cadavere che è stato ritrovato nel 2012 in un capannone di Monza.
La verità secondo Vito Cosco è che “sono morto poco meno di dieci anni fa, insieme alla vittima, ma ancora non lo sapevo. Adesso lo so e sono pronto ad accettare qualunque cosa il destino mi riservi.”
Fornisce quindi una ricostruzione diversa rispetto a quella giudiziaria, scrivendo che sarebbe stato il fratello più piccolo a commettere il delitto e a cose già fatte coinvolto anche Vito: “mi chiedo come ho potuto oltraggiare un corpo ormai senza vita. Forse è ancora presto per chiedere perdono”.
Tuttavia la realtà emersa dalla sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di Cassazione, per la quale Vito Cosco rappresenterebbe quello che ha definito “alter ego del fratello Carlo col quale ha condiviso le scelte, partecipando alle riunioni organizzative”.
Per gli inquirenti i due fratelli sarebbero stati gli esecutori materiali dell’omicidio premeditato di Lea, colpevole di aver deciso di lasciare Petilia con la figlia Denise, scelta fatta per prendere le distanze dalla ‘ndrangheta.
Vorrebbe avere a disposizione un “grosso pulsante rosso” da “poter pigiare” per ritornare indietro nel tempo “fino a quel maledetto momento - conclude Cosco - quando avrei potuto capire, rifiutarmi e, forse, comprendere quello che stava accadendo e fermarlo”.