Sciolta nell’acido: la figlia, sono un’orgogliosa testimone di giustizia
"Io sono un'orgogliosa testimone di giustizia, perché non è facile costituirsi parte civile contro il proprio padre, ma è una scelta di libertà interiore per ripartire con la vita". Sono le parole, affidate al suo avvocato, di Denise, la figlia di 19 anni, di Lea Garofalo, la calabrese che venne sequestrata a Milano e poi sciolta in 50 chili di acido dall'ex compagno, un affiliato alla 'ndrangheta, per punirla per la sua collaborazione con la giustizia. Oggi a Milano, davanti ai giudici della prima Corte d'Assise, é iniziato il processo a carico di Carlo Cosco, ex compagno di Lea, e di altre 5 persone, tra cui anche l'ex fidanzato di Denise, ritenute vicine a una cosca della 'ndrangheta del Crotonese e tutte imputate a vario titolo per il sequestro e l'omicidio della donna. Lea Garofalo scomparve fra il 24 e 25 novembre 2009, dopo che nel 2002 aveva deciso di testimoniare sulle faide interne tra la sua famiglia e un'altra rivale ed era finita sotto protezione (programma poi revocato nel 2006). Nell'ottobre dello scorso anno l'ex compagno, due suoi fratelli, e altre tre persone, vennero arrestate. Oggi in aula Denise non ha potuto presentarsi perché è sottoposta a un programma di protezione ma, tramite il suo legale, l'avvocato Vincenza Rando, ha chiesto di costituirsi parte civile. "Con forza vuole giustizia - ha spiegato il suo legale -, da questo processo vuole ripartire per un progetto di vita e di speranza". L'avvocato inoltre ha chiarito che la ragazza "ha sempre percepito" che quelle persone che le stavano accanto, tra cui il padre Carlo Cosco, avevano ucciso la madre con un metodo da 'lupara bianca'. Oggi, inoltre, altri soggetti hanno chiesto di entrare nel processo come parti civili: il Comune di Milano, perché danneggiato dalle infiltrazioni mafiose negli appalti e nell'imprenditoria e contro la violenza sulle donne, la Regione Calabria e la Provincia di Crotone. In queste ore le parti stanno discutendo proprio su queste richieste su cui dovranno decidere poi i giudici.