Politica e ‘ndrangheta, sequestrati i beni ad Amedeo Matacena

Reggio Calabria Cronaca

Ammonta a circa 1,1 milioni di euro il valore complessivo dei beni che la Direzione Investigativa Antimafia di Reggio Calabria ha sequestrato all’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Gennaro Raniero Matacena.

Il provvedimento si basa sulla presunta pericolosità sociale dell’imprenditore; pericolosità che secondo gli inquirenti investirebbe “l’intero percorso di vita” di Matacena facendo ritenere che i suoi patrimoni possano essere di provenienza illecita.

I sigilli sono così scattati a disponibilità bancarie e finanziarie detenute anche all’estero e riconducibili sia all’ex parlamentare che alla moglie, Chiara Rizzo, e ai figli, oltre che ad un fabbricato intestato ad una società straniera con sede a Miami, in Florida (Stati Uniti).

Matacena (junior), 53enne catanese, al momento è latitante a Dubai ed è figlio del defunto Amedeo (senior): entrambi sono armatori molto conosciuti a Reggio Calabria per la loro attività di traghettamenti sulle sponde dello Stretto.

Nel 2014 l’ex deputato è stato condannato definitivamente a tre anni di carcere dalla Corte di Cassazione per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito delle indagini dell’Operazione “Nautilus”, confluite poi nel procedimento penale “Olimpia 2 e 3”.

IL “PATTO CON IL DIAVOLO”

Secondo la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale reggino, riassumendo quanto emerso dal procedimento penale, snodatosi in un lunghissimo arco di tempo, Matacena sarebbe stato l’uomo politico scelto dalle cosche locali per salvaguardarne i propri interessi.

I magistrati sostengono che l’imprenditore “pur di riuscire nel suo intento di essere eletto alla Camera dei Deputati nelle elezioni del 1994, abbia stipulato una sorta di ‘patto con il diavolo’ con le più rappresentative organizzazioni ‘ndranghetistiche" della città.

Una tesi che sarebbe confermata anche dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, tra cui Antonino Rodà e Giuseppe Lombardo; mentre un altro, Umberto Munaò avrebbe fatto emergere “la consapevolezza” di Matacena di aver favorito la cosca Rosmini nella cosiddetta vicenda dei lavori di rifacimento di via Marina, nel capoluogo dello Stretto.

Nel 2015, poi, nell’ambito di un altro procedimento penale, la Corte d’Appello reggina ha inflitto all’imprenditore un’altra condanna, a quattro anni, per corruzione in atti giudiziari, confermando una sentenza del 2012. Nel novembre 2016, la Cassazione aveva annullato senza rinvio la condanna per intervenuta prescrizione.

Matacena è stato coinvolto, inoltre, nelle recenti indagini della Dia nell’ambito del procedimento incardinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia, denominato Operazione Breakfast. In questo contesto Il Gip del tribunale di Reggio Calabria, nel 2014, aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei suoi confronti, della moglie e di altri soggetti con l’accusa di intestazione fittizia di beni.

Nel provvedimento restrittivo, il magistrato ha evidenziato, tra l’altro, che l’ex parlamentare avrebbe tentato di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali e di aver agevolato il riciclaggio e il reimpiego di capitali illeciti in attività economiche o finanziarie, simulando la dismissione delle partecipazioni in società a lui riconducibili, tra cui la Amadeus Spa, la Solemar Srl, la Ulisse Shipping Srl, la New Life SrL, la Amju International Tanker Ltd e la Athoschia International Tanker Ltd.

Matacena non è stato però arrestato perché si trovava a Dubai dove, fermato dalle Autorità degli Emirati Arabi, è stato poi rilasciato.

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