‘Ndrangheta: rimane in carcere Pantaleone Mancuso
Resta per ora in carcere il boss Pantaleone Mancuso, 68 anni, detto "Vetrinetta". Il pm della Dda di Catanzaro Pierpaolo Bruni ha infatti espresso parere negativo all'istanza di sostituzione della misura cautelare per motivi di salute presentata dall'avvocato difensore Leopoldo Marchese. Per il magistrato appare necessario prima che il gip competente disponga una perizia sulla compatibilità dello stato di salute del boss Mancuso con il regime carcerario.
Di tutt'altro avviso era stato, invece, il tribunale di Vibo Valentia. Venerdì, infatti, durante l'udienza del processo Balck money in cui è imputato "Vetrinetta" era stata depositata la comunicazione inviata dal carcere di Tolmezzo con cui i sanitari del carcere friulano attestavano la grave malattia che ha colpito Mancuso. I giudici avevano quindi deciso di concedere al boss i domiciliari, nonostante il parere contrario della pubblica accusa rappresentata dal procuratore aggiunto Marisa Manzini che aveva chiesto una perizia. Lo stesso magistrato, nella precedente udienza, aveva sottolineato come Pantaleone Mancuso tra il 2011 e il 2012 avesse mantenuto rapporti con un ministro di culto autorizzato a prestare assistenza religiosa presso l'istituto carcerario di Tolmezzo.
Una vicenda che però secondo i giudici vibonesi non consente di "desumere l'esistenza di contatti tra l'imputato e il personale sanitario dell'ospedale di Tolmezzo, della struttura carceraria e con il direttore di quest'ultima". Nonostante la decisione del Tribunale di Vibo il boss non aveva comunque potuto lasciare il carcere venerdì perché detenuto anche per l'indagine, coordinata dalla Dda di Catanzaro e scattata il 20 luglio scorso, sul traffico di reperti archeologici.
Venerdì stesso l'avvocato Marchese ha quindi avanzato richiesta di sostituzione della misura cautelare al competente gip di Catanzaro che sabato mattina ha quindi informato la Procura capoluogo. Come detto, dalla Dda è arrivato parere negativo alla scarcerazione del boss "Vetrinetta", se non dopo l'espletamento di una perizia. Tra l'altro il nome del boss di Limbadi, secondo quanto si è appreso, figurerebbe nell'elenco di affiliati ai clan vibonesi per i quali il pm Bruni, così come aveva già fatto per gli esponenti delle cosche cosentine, ha chiesto il regime del 41 bis, il cosiddetto carcere duro. (AGI)