‘Ndrangheta: Vibo, pentito accusa in aula testimone di giustizia
Collaboratore di giustizia contro testimone di giustizia. È successo oggi in Tribunale a Vibo Valentia nel processo "Black money" contro il clan Mancuso.
Il pentito vibonese Eugenio William Polito - fra i principali testi dell'accusa del pm della Dda Marisa Manzini - ha lanciato pesanti accuse contro Giuseppe Grasso, ex imprenditore e fra i primi testimoni di giustizia del Vibonese, anche lui importante teste della Dda nello stesso processo. Polito ha riferito che Grasso non ha mai voluto accusare un personaggio di spicco del clan Mancuso (già condannato in altro troncone di Black money).
Quest'ultimo, secondo Polito, avrebbe azzerato il debito ad usura che aveva con lui il testimone di giustizia Grasso in cambio del silenzio dello stesso Grasso sulla vicenda. Polito ha poi raccontato di aver visto personalmente Grasso giocare alle slot machine ed ai videopoker in un locale del Vibonese di proprietà di un soggetto che lo stesso Grasso aveva fatto in precedenza arrestare con le sue accuse. Il tutto sarebbe avvenuto mentre Grasso si trovava già nel programma di protezione, tanto che la scorta sarebbe rimasta fuori dal locale ad aspettare che il testimone di giustizia finisse di giocare ai videopoker. Giuseppe Grasso, le cui denunce hanno fatto scattare nel 2006 l'operazione "Odissea" (finita con una raffica di assoluzioni), nel 2013 è stato condannato a 2 anni per aver aggredito un agente della sua scorta. (AGI)
h 18:03 | Quattro miliardi di vecchie lire dati agli usurai per saldare i debiti, sino al fallimento ed alla chiusura totale da parte di uno degli imprenditori, F.F., piu' facoltosi del Vibonese. A raccontare stamane al Tribunale di Vibo Valentia la "parabola discendente" dell'imprenditore e' stato il collaboratore di giustizia, Eugenio William Polito, durante il processo "Black money" contro il clan Mancuso. Il pentito ha spiegato che l'imprenditore aveva contratto un debito di 500 milioni di lire con Giovanni Mancuso (imputato del processo) pagando per diversi anni 50 milioni di lire al mese di soli interessi usurari.
Quindi il ricorso ad altri usurai dei clan Mancuso di Limbadi, Soriano di Filandari, Fiare' di San Gregorio d'Ippona, Lo Bianco di Vibo Valentia, Fiamingo di Rombiolo, Mamone di Tropea e Papaianni di Ricadi, nel tentativo di saldare il primo debito con il presunto boss Giovanni Mancuso. Alla fine l'imprenditore, minacciato anche a colpi di ascia sin dentro casa da parte di uno degli usurai, avrebbe venduto per soli 300 milioni di lire ad un prestanome dei clan un intero fabbricato, sede dell'impresa, del valore di 3 miliardi, sino al completo abbandono di ogni attivita' imprenditoriale. Lo stesso collaboratore di giustizia Polito, titolare in passato di un autosalone a Vibo, ha riferito di aver contratto anche lui debiti ad usura con elementi dei clan Giamborino di Piscopio e La Rosa di Tropea. (AGI)