Province: presidenti Calabria, decreto governo desta sconcerto
"Lo Schema di Decreto Legge approvato dal Governo il 31/10/2012 per la definizione del riordino delle Province, desta ancora una volta sconcerto sulle scelte dell’Esecutivo, soprattutto per la dubbia Costituzionalità delle modalità prescelte per attuare la riforma. - Lo affermano, in un documento, i presidenti delle cinque province calabresi: Wanda Ferro (Catanzaro), Mario Oliverio (Cosenza), Stanislao Zurlo (Crotone), Giuseppe Raffa (Reggio Calabria), Giuseppe Barbuto, vice presidente della Provincia di Vibo Valentia. Il decreto, in Calabria, ha stabilito la ricomposizione dell'antica provincia di Catanzaro, mediante l'accorpamento di Vibo e Crotone al capoluogo di regione - Il Governo con tale decreto - approvato e diffuso proprio pochi giorni prima della data fissata dalla Corte Costituzionale per l’udienza sui ricorsi avanzati dalle Regioni avverso il Decreto “Salva Italia” del 2011 - ha disegnato una riforma che desta perplessità per la scarsa chiarezza delle disposizioni sul percorso da seguire, e, soprattutto, sulla tipologia di “elezione” dei nuovi consigli provinciali, che rappresentano il punto focale delle sorti di un ente di governo territoriale.
L’articolo 7 disegna, innanzitutto, un percorso che in meno di dodici mesi dovrebbe portare gli enti alle nuove “elezioni” che - in mancanza di una pronuncia della Corte Costituzionale sulla legittimità del sistema elettorale previsto dal Salva Italia - non sono ancora definite in maniera certa. In questi dodici mesi, peraltro, le Province dovrebbero porre in essere una serie di complessi adempimenti da effettuare, in una situazione di incertezza e di precarietà, attesa la repentina “soppressione “ delle Giunte al 31/12/2012, le ipotesi di commissariamento - presumibilmente già nel maggio 2013 - delle Province il cui mandato naturale scade prima del 31/12/2013, e per le quali tali adempimenti saranno resi in pratica inattuabili.
Anche in questo caso, ci si chiede se una tale previsione non debba considerarsi di dubbia costituzionalità, attesa la situazione di disparità di condizioni in cui si troveranno ad operare le Province, non solo private degli organi Esecutivi o con Giunte ridotte, ma pure impossibilitate ad effettuare una programmazione seppur minima e condizionata dalle limitatissime disponibilità finanziarie e con modalità contrarie alle disposizioni in materia di bilanci stabilite dal TUEL 267/2000 sulla programmazione annuale e triennale delle attività.
La riforma, peraltro, nel suo complesso appare inconcludente e confusa. Confusa perché il lavoro che dovranno fare in poco tempo le attuali amministrazioni provinciali è un autentico macigno in grado di interrompere ogni processo di governo e ogni ipotesi di sviluppo, generando confusione nella macchina burocratica organizzativa; inconcludente perché il risparmio effettivo sarà di pochi milioni di euro a fronte di ulteriore costi aggiuntivi da sostenere per l’attuazione della riforma e in termini di servizi ai cittadini. Ma, nell’attuale scenario di tagli dei trasferimenti, la conseguenza più grave è che il processo di riforma delineatosi con l’ultimo schema di decreto possa comportare il default dei nuovi enti prima ancora che nascano.
L’accorpamento della Provincia di Catanzaro con quelle di Crotone e di Vibo Valentia, pur rappresentando un caso peculiare perché relativo alla ricostruzione di una provincia smembrata vent’anni addietro, può comunque essere portato quale esempio emblematico delle criticità concrete dell’attuazione di un processo rapido quanto incerto. In questo caso esistono ancora mutui, debiti fuori bilancio, contenziosi in atto per milioni di euro tra Catanzaro e le altre due Province che un accorpamento potrebbe far cadere, ma resta il problema delle perdite di bilancio che si potrebbero registrare al momento della ricomposizione di un assetto unitario.
Né vanno trascurate le inevitabili ripercussioni sul personale, atteso che complessivamente sono a rischio ben cinquanteseimila posti di lavoro dei dipendenti provinciali. A causa degli esuberi, ancora non stimati, si innesca un meccanismo complesso di trasferimento dei dipendenti provinciali. E la situazione, in mancanza di un termine per le Regioni per l’emanazione della propria legge regionale per il trasferimento delle funzioni, rende incerta anche la programmazione del fabbisogno del personale dei nuovi Enti, e quindi il futuro dei dipendenti che dovessero essere ritenuti “in esubero”. Gravissime potranno essere anche le ripercussioni su Regioni e Comuni a seguito dell’attuazione del percorso previsto dall’articolo 4, lett.b) dello Schema di Decreto, per il quale le Regioni dovranno, con propria legge, trasferire ai comuni le funzioni “non fondamentali” già trasferite alle province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, tali funzioni siano acquisite dalle Regioni medesime, trasferendo nel contempo le risorse umane finanziarie e strumentali necessarie.
Però, il Governo sembra non essere al corrente che moltissime delle funzioni assegnate alle province dalle Regioni in base al D.lgs 112/1998, non son state mai finanziate dalle regioni medesime e che, in realtà, le province le hanno svolte spesso attingendo dalle risorse proprie. Il trasferimento delle funzioni ai Comuni - che non potrà in molti casi essere accompagnato dal trasferimento delle risorse necessarie per il relativo esercizio, sicuramente più oneroso qualora frammentato - verosimilmente causerà non solo disservizi per i cittadini, ma anche serie ripercussioni sui bilanci degli stessi comuni.
Ma la preoccupazione più seria nasce dalla notizia del mancato pronunciamento da parte della Corte Costituzionale sui ricorsi presentati dalle otto Regioni sulla legittimità costituzionale delle disposizioni del Decreto Salva Italia in merito alla elezione degli organi di governo delle Province e alle relative funzioni; tale silenzio rende ancora più palese la sensazione che si stia attuando una riforma incerta e non conforme alle regole di partecipazione democratica al governo del territorio Costituzionalmente garantite, ma anche ribadite dal Consiglio d’Europa, che ha confermato che l’eventuale soppressione delle Province costituirebbe una violazione della Carta europea delle autonomie locali, firmata dall’Italia nel 1985 e ratificata nel 1990. La Carta prevede che gli enti locali come le Province debbano esercitare un mandato elettivo locale a suffragio universale. Una previsione volta a tutelare la più ampia rappresentatività democratica delle comunità locali, che viene cancellata con le disposizioni sul riordino delle Province
Stabilire, con un decreto legge, che i Presidenti e i Consigli provinciali non saranno più eletti dal popolo ma verranno nominati dai partiti è inaccettabile e riporta la politica e il nostro assetto istituzionale a prima della legge n.81 del 1993, privando i cittadini del diritto di scegliere i propri amministratori esercitando sugli stessi una costante azione di controllo e di giudizio. I Presidenti delle cinque Province Calabresi ritengono sia necessario che venga fatta chiarezza intorno a questa riforma e che emerga chiaramente qual è la volontà politica in Calabria. Per questo verrà proposto anche un incontro a tutti i parlamentari, ai segretari dei partiti politici e alle organizzazioni sindacali, che devono necessariamente essere informati preventivamente delle ripercussioni che il nostro territorio subirà a causa di queste disposizioni, che se rimarranno tali ci impediranno di garantire i servizi essenziali fino ad oggi erogati ai cittadini.
Per tutti questi motivi, l’UPI Calabria chiede ai Parlamentari, alle Forze politiche della Calabria e alle organizzazioni sindacali a prendere posizione sulla riforma, invitando altresì il Governo a porre fine alla decretazione di urgenza sul riordino delle Province, consentendo al Parlamento di svolgere a pieno il suo ruolo indicando con certezza quali sono le funzioni e il sistema di elezione degli organi di governo delle Province, che certamente dovrebbero vedere la partecipazione diretta dei cittadini per come previsto dalla Carta Costituzionale, ripristinando in particolare gli strumenti di democrazia, previsti dalla Costituzione per le istituzioni costitutive della Repubblica".
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